L’Europa in ordine sparso è purtroppo una realtà, ma questo non esime da un grande compito, quello di «perseguire risultati non semplicemente nazionali, bensì più complessivi, appunto europei». Questa visione lungimirante, secondo Nikolaus Lobkowicz, è all’altezza dei paesi europei. La casa comune, dice il filosofo, non può venire da un “indistinto ammasso europeo”, ma dal «lavoro comune di molte nazioni». Uno dei più eminenti intellettuali europei interviene sulle questioni più controverse: unità culturale dell’Europa, allargamento, diritti umani.



Professor Lobkowicz, il 6 e 7 giugno in Italia si vota per l’Europa. Verso le istituzioni europee però prevale la quasi totale disinformazione. Che senso ha votare oggi per l’Europa e perché?

Se si guarda bene, quello che lei descrive è un problema fondamentale di tutte le democrazie. Quanto sa un italiano medio, o un tedesco o un francese, dei problemi di cui si occupa il Parlamento o di come esattamente funziona il governo del suo Paese? Chi non va a votare non ha nessun diritto di prendersela per decisioni del Parlamento o del governo che non gli piacciono. O, per dirla in positivo: uno vota quelli che spera possano rappresentare le convinzioni in cui egli stesso crede. Questo vale per le elezioni europee come per tutte le altre elezioni.



Fino ad oggi le istituzioni sono state il frutto dei popoli, mentre quelle europee sembrano più qualcosa di studiato a tavolino, nel quale il legame culturale e simbolico tra popolo e istituzioni è assente. Che ne pensa?

Non sono forse tutte le Costituzioni delle costruzioni? Ad un certo punto, diciamo così, “un popolo si decide” a darsi una Costituzione. Ma non è mai stato “il popolo” a deciderlo, sono state precise persone e, così, molti sono rimasti in disaccordo con il risultato. Il legame simbolico di cui lei parla è un mito. La differenza tra le elezioni nazionali e quelle europee sta puramente nel fatto che alle prime siamo ormai abituati, alle seconde non ancora.



Cosa insegna la recente crisi economica all’Europa e al suo progetto di integrazione? L’Europa appare sempre più divisa: il disaccordo sull’aiuto economico coordinato ai paesi dell’est, le divisioni sui diritti umani alla conferenza di Durban 2, l’Europa “intergovernativa”…

Proprio la crisi economica dimostra quanto sia necessario un lavoro comune e coordinato degli Stati europei, e che un’Europa più divisa di prima non risponde assolutamente alla bisogna. Gli Stati europei non si sono ancora presi la briga di concordare a questo scopo le loro politiche con quelle degli altri Stati, cioè a perseguire risultati non semplicemente nazionali, bensì più complessivi, appunto europei. Le spaccature di cui lei parla sono presenti anche all’interno dei singoli Stati e, tuttavia, gli Stati europei, le democrazie, sembrano “funzionare” molto bene.

Mentre l’unità economica sembra realizzata e si procede a tappe forzate verso l’integrazione politica, l’unità culturale dell’Europa rimane motivo di scontro. Perché?

Ritengo che questa sia un’“illusione ottica”. Si immagini di osservare l’Europa dalla Cina o dal Nepal: si accorgerebbe rapidamente di quanto grandi siano l’unità culturale o l’identità europee. Abbiamo una storia comune. Uno dei grandi errori nell’insegnamento della storia è che troviamo sempre descritta in primo luogo la storia nazionale e con ciò ci lasciamo sfuggire che esiste una vera e propria “storia dell’Europa”, che è molto di più che una semplice somma delle storie nazionali. Insomma, basta solo viaggiare in un altro “continente” per notare immediatamente quanto sia grande l’unità culturale dell’Europa. E noi non vogliamo solo un “indistinto ammasso europeo”, noi vogliamo il lavoro comune di molte nazioni, ciascuna con la propria storia, le proprie tradizioni, i propri sistemi di valori.

Quale rapporto c’è tra confini politici dell’Europa e la sua identità culturale? In altre parole: che ne pensa dell’allargamento ai Balcani e alla Turchia? Cosa possono portare questi paesi all’Europa?

 

I Paesi balcanici sono stati a lungo occupati dai turchi, tuttavia, per la loro storia e la loro cultura, non appartengono all’Europa meno di Rodi, Malta o Cipro. Questo vale anche per la storia iniziale della Turchia, ma la sua ininterrotta storia islamica è vecchia di più di mille anni e la sua partecipazione all’identità culturale europea è quasi inesistente. Possono esserci, però, ragioni pragmatiche per includerla nel concerto politico dell’Europa, magari perché, sulla base della sua storia più recente, è una specie di baluardo contro le concezioni più radicali dell’islam. Pensare in termini storici e culturali non significa escludere riflessioni di natura politica. Con questa premessa, ciò che oggi non è più del tutto chiaro è se la Turchia riuscirà a sconfiggere il latente islamismo esistente nel Paese, quindi a mantenere la separazione tra Stato e religione.

In mancanza di un riconoscimento unitario dell’identità ebraico-cristiana dell’Europa, molti politici anche di ispirazione cristiana sostengono che un compito dell’Europa è promuovere i diritti umani nel mondo. I critici dicono che questo ruolo si riduce in buona sostanza alla promulgazione di qualche comunicato scritto e nulla più, perché l’Europa non ha forza politica unitaria e risulta debole. È possibile una politica centrata sui “diritti umani” oggi? Su cosa deve fondarsi?

Il concetto che esistano inalienabili diritti umani è di origine cristiana e, comunque, è il risultato storico di una unità culturale cristiana. L’ultimo documento del Vaticano II, Dignitatis humanae, ha enunciato questo tema molto chiaramente. Schierarsi per i diritti umani non è, d’altronde, una questione di forza: si pensi alla frase sarcastica di Stalin su dove fossero le armate della Santa Sede. Il problema oggi risiede innanzitutto dove già Giovanni Paolo II lo aveva posto: che il concetto di “diritti umani” viene spesso oggi così allargato, esteso, che finisce per annullarsi da solo. Se l’aborto o il matrimonio tra persone dello stesso sesso vengono considerati diritti umani, l’intero concetto diventa discutibile.

Secondo lei esiste un “pensiero unico” europeo contrario al riconoscimento dell’identità cristiana dell’Europa? Cosa dobbiamo attenderci?

Certamente ci sono in Europa anche tendenze che pongono in discussione l’identità cristiana dell’Europa. Ma questo è stato il caso fin dall’inizio dell’Illuminismo. Personalmente non ho l’impressione che queste tendenze siano oggi trionfanti. Piuttosto, il punto è che oggi, come ha recentemente affermato Benedetto XVI, l’identità cristiana dell’Europa minaccia di sbiadire pericolosamente. È compito di noi cristiani di continuare a ricordarci che la nostra concezione europea dei valori, innanzitutto il concetto di ciò che è l’uomo e di ciò di cui è “degno”, non tramonta.

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