Dieci domande, mentre i risultati elettorali amministrativi tendono a stemperare l’effetto “delusione Berlusconi” sul quale è stata misurata dai media la prima lettura del voto europeo.
Che farà D’Alema? L’arretramento generale nelle ridotte del centro Italia avvera quasi matematicamente “l’appenninizzazione” del partito che era stata profetata da Giulio Tremonti. Di fronte a questa prospettiva, D’Alema si deciderà a sostenere un candidato alla leadership incaricato di far tornare i Ds all’accordo con la sinistra antagonista, per la costruzione di un partito che miri al 25-28% dei voti con una più netta scelta socialista e di sinistra, a costo di registrare esodi di ex margheritini verso il centro e l’Udc?
Che farà l’anima più riformista del Pd? Accetterà supinamente la linea-Repubblica che, in nome della lotta a “Berlusconi-corruttore di minorenni”, in realtà ha portato acqua al mulino di Di Pietro? Tenterà di difendere ancora l’ispirazione maggioritaria che portò alla nascita del partito, facendo convergere Ds e Margherita, tentando su questa strada di dialogare con l’Udc, Fini, e la parte moderata che si è astenuta da voto anche perché diffidente delle intemperanze di Berlusconi? Accetterà una eventuale nuova leadership del Pd che sa di ritorno alla rappresentanza sociale culturale classica della sinistra postcomunista, oppure è disposta a eventuale rotture in nome do un nuovo percorso più rischiosamente incardinato verso una prospettiva di riformismo moderato?
Che farà la Cgil? Tutti ora tendono a dimenticarlo. Ma la Cgil resta la più grande organizzazione di massa della sinistra italiana. Il post Epifani terrà la barra inchiodata sul compromesso tra ex riformisti e sinistra antagonista che sin qui ha ispirato tutti i “no” del sindacato – dal nuovo modello contrattuale alla riforma Brunetta, dalle riforme Gelmini al Libro Bianco di Sacconi – e tenterà di “esportare” questo stesso modello nel Pd? Oppure sarà l’evoluzione autonoma del Pd, a influenzare la linea del sindacato di Corso Italia e a ipotecare la successione di Epifani?
E i prodiani? Quanti nel Pd odierno pensano davvero che la via sia quella del ritorno all’Ulivo e al patto con chiunque restando distinti, in nome di un programma di governo che a quel punto tornerebbe a essere dettato dai veti reciproci, più e peggio che in passato?
Come reagirà Berlusconi? La campagna personalizzata contro di lui questa volta non mette nel mirino gli argomenti tradizionali, l’accusa di essere corruttore di giustizia e tycoon che si serve della politica per difendere il suo gruppo. Sotto attacco, ci sono le virtù e la temperanza personale dell’uomo: in altre parole, prendendo atto che da 15 anni le accuse precedenti vengono disconosciute nelle urne come impedimenti a governare, questa volta si mira sotto la linea di galleggiamento della persona, per iniziare ad offuscarne la “quirinabilità”. Cioè la facoltà di candidarsi un domani al Colle più alto, lavorando in serenità per un candidato premier di continuità rispetto alla sua esperienza, leadership e paternità indiscussa della Pdl. Silvio reagirà dando una sterzata ai suoi comportamenti personali e concentrandosi ancor più in risposte efficaci ai problemi del Paese? Oppure accetterà la sfida che Repubblica gli lancia, nella speranza che le sue reazioni vadano sopra le righe e ne incrinino la credibilità?
E Di Pietro, coltiverà da solo un orto che ha tutta l’aria di potersi ancora espandere, puntando tutto sulla lotta senza esclusione di colpi a Berlusconi minaccia per il Paese? Oppure inizierà a pensare che quella strada, elettoralmente anche molto pagante finché si vota con la proporzionale, potrebbe con la legge elettorale delle politiche condurlo a una solitudine molto rischiosa? Le chanches di un accordo separato con la sinistra antagonista sono più apparenti che reali: l’antipolitica e la politica iperideologica sono in realtà, da sempre, più verbose nemiche che silenti alleate.
Esistono davvero, per l’Udc di Casini, possibilità concrete di un superamento del bipolarismo “dal centro”? L’Italia in realtà resta bipolare anche con la proporzionale delle europee, perché la crescita di Di Pietro a sinistra e della Lega nel centrodestra non ne rompono lo schema “con” o “contro” Berlusconi. Sin qui, i timidi tentativi di innervare nell’Udc un terzaforzismo tecnocratico ed elitista, variante Mieli-Montezemolo, sono rimasti sogni appannaggio di minoranze, senza seguito tra gli italiani anche se magari sostenute da prestigiose testate come il Corriere della sera, che però non possono permettersi campagne martellanti unidirezionali come ha – con risultati innegabili – fatto la Repubblica di Ezio Mauro. C’è davvero una variante di crescita del voto cattolico che torni a collocarsi al centro, e capace di un risultato a doppia cifra, pur non potendosi immaginare nel breve un cedimento secco della Pdl che da questa prova esce comunque come solidissimo primo partito italiano con più di un voto su tre?
Bossi saprà misurare le sue nuove richieste, pur se legittime per effetto dell’avanzata elettorale? In veneto, la prova di forza della Lega sulla Pdl è fallita per pochissimo. Sarà sulla Lombardia, che si appunteranno le richieste leghiste, o in alternativa il movimento inizierà a sparare a zero sull’Expò come su Malpensa? Una prima risposta verrà dall’atteggiamento che la lega terrà nei ballottaggi, a cominciare da Milano. Ma Bossi sin qui si è mostrato un politico più fino e misurato di quasi tutti gli altri, checchè si dica. A che futuro pensa? Non è che per caso ritiene di avere in serbo un leader futuro della Pdl, dopo Berlusconi, che per la Lega sarebbe garanzia di una coesistenza con la Pdl ancor più pacifica e conflittuale di quanto sin qui sia stato? Oppure la forte virata a destra europea, verso forme di rappresentanza subnazionale ed euroscettiche, indurrà il movimento a una “riscoperta delle origini”, sinchè non si capisce chi prendesse in futuro il timone della Pdl e per far che?
Fini continuerà, sulla strada imboccata recentemente della delineazione di una leadership futura della Pdl in chiave di “convergenza repubblicana”, su temi come cittadinanza, immigrati e boetica, rispetto alla leadership carismatica e volutamente divisiva che da sempre è la carta di Berlusconi per catalizzare il più dei voti moderati? Oppure diraderà le sue uscite polemiche, dandosi più tempo per capire che cosa bolle nella pentola del Pdl, e che posizione prenderà Casini?
Infine: si giocherà sino in fondo la carta del nuovo peso europeo, che il voto per Strasburgo ha affidato alla Pdl? Nei grandi Paesi fondatori, è il partito di Berlusconi quello che esce dalle urne con il maggior peso. Come confermano anche tutti i maggiori giornali europei, non più accecati dalla campagna di Repubblica, e persino critici inveterati dello stile eterodosso del premier italiano, vedi Wolfgang Munchau del Financial Times. E’ possibile pensare non solo alla guida del parlamento europeo per l’onorevole Mauro. Ma anche a una presenza nella futura Commissione europea con portafogli più importanti di quello attuale, ai Trasporti. Dipende molto da come Berlusconi si muoverà nel prossimo G8 all’Aquila, e dalla piega che in Germania prenderà la sempre più difficile coabitazione tra Angela Merkel e la sconfitta Spd, di qui al voto tedesco del prossimo autunno. Per il prestigio internazionale a Silvio serve misura e moderazione, e sarebbe la miglior risposta alla campagna di delegittimazione personale. O è solo in Italia, che il premier intende giocare la sua partita?