La principale novità della scena politica italiana è rappresentata dal ruolo che sta disegnando Giorgio Napolitano per il Quirinale non solo nei confronti dei partiti di maggioranza e opposizione, ma anche come punto di riferimento per altre istituzioni e per l’”opinione pubblica”. Questa novità rischia di essere appannata dal fatto che ormai dal 1992 vige un esagerato “culto della personalità” del Capo dello Stato e quindi una assordante retorica ci ha abituati a veder celebrati dal Corriere della Sera & Co. ogni frase ed ogni gesto di Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Essendo qualsiasi cosa molto giusta e importante non si vede quel che conta di più. Il caso Napolitano presenta oggi novità di rilievo con rischi e opportunità.
Per comprenderlo è utile partire dalle ragioni dei suoi detrattori. In occasione della sua ultima sortita – la lettera di accompagnamento alla firma del provvedimento sulla sicurezza – sono insorti da un lato, nella maggioranza, Marcello Pera e dall’altro, nell’opposizione, Antonio Di Pietro. Entrambi sono non privi di argomenti anche se di segno opposto.
Marcello Pera ha indubbiamente ragione a sottolineare che siamo ben lontani da come i “padri fondatori” della Costituente avessero immaginato il ruolo del Presidente della Repubblica e infatti nell’Assemblea lo si definì “un fannullone”. Pera lamenta che Napolitano entra ormai nel merito dei provvedimenti con preoccupazioni di carattere politico soffermandosi sui contenuti delle decisioni del governo. All’opposto Antonio Di Pietro contesta a Napolitano di rappresentare una copertura per Berlusconi controfirmando e avvalorando la legittimità di un’azione di governo con leggi che non sono da emendare in quanto per la loro natura rappresentano un pericolo per la democrazia.
Al di là delle polemiche siamo di fronte al dato di fatto che Napolitano è riuscito a introdurre ed ormai a stabilizzare un regime di condominio tra Quirinale e Palazzo Chigi ovvero di “coabitazione” come chiamavano i francesi il convivere tra Capo dello Stato e Capo del Governo di opposti partiti prima con Mitterrand e Chirac e poi con Chirac e Jospin. Palazzo Chigi deve accettare di dover acquisire sempre – in modo riservato o formale, prima o dopo – il parere del Quirinale su ogni atto che abbia rilevanza nazionale o internazionale. Da parte sua il Quirinale promette un arroccamento non pregiudiziale e di parte, ma un sistematico appello al primato dell’unità nazionale e della salvaguardia della concordia istituzionale.
Perché Napolitano ha potuto (o dovuto?) dar vita a un rapporto da Quinta Repubblica francese nella Seconda Repubblica italiana? Evidentemente per uno stato di debolezza in cui versa sia la maggioranza sia l’opposizione.
Nella maggioranza la leadership di Berlusconi è tornata ad essere salda dopo i vari “tormentoni”, ma in un quadro diverso. Ha vinto il G8, sta vincendo la ricostruzione in Abruzzo, ma il miraggio del “dopo Berlusconi” che aveva incoraggiato se non complotti, certo verosimili ambizioni ha segnato il Pdl che oggi si configura come una sommatoria di blocchi di potere. Berlusconi si consolida, ma più come insostituibile mediatore e aggregatore, meno come imprevedibile e indiscutibile decisionista.
L’opposizione è paradossalmente indebolita proprio da questo maggior pluralismo della maggioranza. Il punto debole dell’opposizione non è l’antiberlusconismo in sé in quanto è naturale che si dipinga l’avversario come il Cattivo. Il dato negativo è che l’opposizione è rimasta ferma al mito del 1992 ovvero della distruzione dell’avversario “manu militari”. Il male della sinistra italiana e del gruppo dirigente del Pd è quello di rimanere convinti che la “soluzione finale” per Berlusconi avvenga per via extraparlamentare. Il fatto che Massimo D’Alema, che è notoriamente il più freddo ed esperto leader del partito essendo stato capo del governo e ministro degli esteri, insista sempre sulle “scosse” in arrivo contro Berlusconi, ripropone un mitico “arrivano i nostri”. In questo modo il Pd diventa una “Fortezza Bastiani” in cui si appassisce scrutando l’orizzonte in eterna attesa. Oggi “il fare” – che è l’elemento centrale della scena politica – è tutto del centro-destra e non solo a livello di governo, ma anche sul territorio con di fronte un’opposizione imbambolata che da un lato demonizza il “porcellum” e poi dall’altro con Fassino ne esalta il risultato sostenendo che finalmente con un Parlamento di soli sei gruppi e non più di diciassette si sono create le condizioni per una “vocazione maggioritaria”. Il Pd si sta quindi incartocciando nel proprio lunghissimo congresso discutendo fino a novembre se allearsi con Di Pietro oppure con l’Udc.
Intanto il Quirinale incombe su Palazzo Chigi stabilendo un asse molto forte con Montecitorio.
Va ricordato che l’esperienza che Giorgio Napolitano ricorda con maggiore orgoglio e a cui ha dedicato un apposito libro è quella in cui tra il 1992 ed il 1994 come Presidente della Camera sostenne il ruolo di “garante” del Presidente della Repubblica.