Il Parlamento europeo ha ripreso, durante la settimana appena trascorsa la sua attività, aprendo ufficialmente la settima legislatura. Dopo la tornata elettorale del 6 e 7 giugno, in Europa i nuovi deputati scelti da circa 400 milioni di elettori hanno preso posto nell’emiciclo di Strasburgo e hanno insieme designato i propri rappresentanti nelle principali commissioni.

Un’agenda davvero fitta ha caratterizzato la passata sessione plenaria che non solo ha visto portare a termine le trattative per la composizione del nuovo Parlamento – dove per la prima volta la delegazione italiana del Partito popolare europeo ha ottenuto un numero altissimo di incarichi di responsabilità pari a quello della delegazione tedesca – ma in cui si è discusso di due temi attualissimi: il bilancio sulla presidenza ceca e la situazione in Iran.

Tutti quanti riconosciamo come l’Unione europea sia l’unica piattaforma possibile per affrontare alcune delle grandi sfide che ci troviamo davanti. Nessuno può pensare, ad esempio, che Malta da sola o l’Italia con 5.000 km di coste possano risolvere i problemi dell’immigrazione, così come tanti altri paesi i problemi legati all’approvvigionamento dell’energia.

Eppure, proprio le vicende della Presidenza ceca – combattere cioè contro grandi difficoltà interne, ma anche contro una differente interpretazione dell’Europa – ci hanno fatto meglio comprendere il nostro compito: diffidare dei nazionalismi ottusi e diffidare anche di mostri burocratici che possono togliere il cuore della nostra esperienza politica e farci dimenticare che cosa siamo chiamati a realizzare.

La verità è che l’Europa non può pagare per non decidere. Ciò accade quando non ha il coraggio di prendere certe decisioni che oggi sono epocali. Non può, quindi, non avere la forza, in questo momento, di affrontare le circostanze più immediate, che sono quelle legate a un inizio di avvio di legislatura molto problematico.

Qualcuno ha vinto di più in queste elezioni, qualcuno di meno, ma tutti con certezza sappiamo che non potremo affrontare nessuna sfida, se non tutti insieme. Allora è necessario assumersi le responsabilità e dare a questa istituzione la forza per poter riavvicinare i nostri cittadini o la conseguenza negativa sarà la disaffezione da parte dei cittadini che si allontanano dagli ideali dei padri fondatori.

Nella scorsa sessione plenaria grande spazio ha avuto il dibattito per la preoccupante situazione di guerriglia in Iran. Infatti, se è vero che in questo stato vige una teocrazia in cui il fondamentalismo ha disegnato il suo progetto di potere prendendo come pretesto il nome di Dio, abbiamo anche notato in questi giorni la gente scendere in piazza gridando che “Dio è grande”, ma con una sottile differenza rispetto ai Pasdaran di Ahmadinejad. Quella differenza negli sguardi, nella volontà che quelle persone hanno espresso, nella determinazione a non essere violenti ci fa capire che in Iran l’amore per la libertà, la verità, il destino del proprio popolo non è morto.

Non sono bastati trent’anni anni di teocrazia e sistematica distruzione dell’umano per cancellare quella memoria che è nel cuore di ognuno di noi. Ed è a questo che l’Europa deve una fedeltà. È a questo fatto, a questo amore alla verità e a questo amore alla libertà che deve caricare la responsabilità di ognuno, perché il fatto di chiedere alle istituzioni europee di essere forti, di essere determinate e di far sentire la propria voce non è innanzitutto, da parte del Parlamento, la richiesta di una sottolineatura geopolitica, ma significa far capire che le istituzioni europee, per quello che rappresenta quel progetto politico che chiamiamo Europa unita, non possono venire meno all’amore per la libertà e per la verità che c’è in ognuno di coloro che sono scesi in piazza in questi giorni.