Sembra che l’allarme-sud sia rientrato: dopo che Lombardo e Miccichè si sono detti pronti a fondare un partito se il governo non avesse mostrato più collegialità nelle decisioni e più interesse per il Meridione, Berlusconi ha annunciato un piano di intervento e lo sblocco dei fondi Fas. Tra Tremonti e il sottosegretario con delega al Cipe però è rottura. In attesa, a quanto pare, di capire quale potrebbe essere un incarico per lo stesso Miccichè che soddisfi i “meridionalisti”. Però Aldo Bonomi, sociologo, mette in guardia: è scomparsa, ed è un bene, la vecchia forma-partito clientelare, ma una politica ridotta a “sindacalismo territoriale” è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.



La manovra del governo ha sortito l’effetto di riproporre la questione del Sud. Berlusconi, anche per scongiurare la nascita di un nuovo partito, ha annunciato un programma di investimenti.

Guardi, se la lente di ingrandimento con cui osserviamo i fenomeni mette a fuoco solo la fibrillazione politica, sbagliamo. È vero, la questione meridionale ritorna prepotentemente all’attenzione dei media, della politica e delle istituzioni perché si è aperto questo dibattito sul partito del sud. Ovviamente un partito del sud opposto al partito del nord; e “lo stato in mezzo”, tirato da una parte e dall’altra. Direi invece che va dedicata più attenzione ai processi reali e all’accompagnamento del territorio. È di questo che bisogna parlare.



La politica non ha proprio nulla da dire?

A molti è sfuggito che nella giunta pugliese il professor Gianfranco Viesti è stato nominato assessore con delega al Sud. Questo per esempio è un fatto significativo. Ma per capire qualcosa in più dobbiamo osservare le dinamiche territoriali. Al di là della crisi, tutti i territori del sistema paese sono investiti da uno sforzo di riposizionamento. Le piattaforme produttive che si sono andate delineando in questi anni si stanno con difficoltà ricollocando nella globalizzazione. Le dirò di più: in questo scenario i problemi che hanno tutti i territori sono uguali, sia la nord che al sud.



Professore, si spieghi per favore.

Tutte le nostre piattaforme produttive hanno un problema di modernizzazione incompiuta. Se nel Nord Est o in Lombardia il problema è la costruzione della pedemontana lombarda e della pedemontana veneta, lo sviluppo turistico della Sicilia invoca il completamento della Salerno-Reggio Calabria. Nemmeno l’efficienza delle università può essere pensata al di fuori di questo sviluppo. Esiste cioè un problema di rapporto del capitalismo dei territori con il capitalismo delle reti. Tale rapporto va pensato e costruito in una forma nuova, imposta dalla globalizzazione.

Come allora quest’ultima sta modificando i territori?

Al nord guardiamo alla Germania, nostro principale paese partner. Al sud si incominciano a delineare processi di internazionalizzazione, che in una regione come la Puglia portano verso l’area balcanica. Allora il problema – e la sfida – è quello di intervenire a supporto di questi grandi processi di cambiamento. Processi che in alcuni territori riguardano anche la modernizzazione delle forme di convivenza, o la sicurezza.

Le faccio a questo punto la domanda che si pongono tutti. Dobbiamo continuare ad alimentare un’economia assistita?

Io non ho detto questo. Fare la pedemontana lombarda e terminare la Salerno-Reggio Calabria non è assistenza, ma è un imperativo categorico per competere sui mercati globali. Fare in modo che gli aeroporti siano efficienti per attrarre turisti, o poter andare da Malpensa a Shangai, sono due facce della stessa medaglia. Al nord il territorio soffrirà del fatto che Malpensa non ha il volo diretto che cerchiamo, al sud se gli aeroporti non funzionano non ci sarà sviluppo turistico.

Gli eventi di questi giorni promettono qualcosa di buono?

Avere come unica logica quella di fare il Masaniello del sud – o il Masaniello del nord – è completamente sbagliato. Occorre invece chiedersi come fare per far arrivare i prodotti sui nuovi mercati, che si tratti dell’agricoltura di qualità del Mezzogiorno o delle subforniture strategiche delle piccole imprese al nord.

In un’intervista pubblicata ieri su questo giornale, Geronimo ha detto che, diversamente dai partiti della prima repubblica, i nuovi soggetti politici sono del tutto incapaci di creare una classe dirigente. Questo è un effetto o una causa della crisi del Sud?

Il vero problema è che le forme-partito che abbiamo conosciuto dal ’90 in avanti sono prive di un radicamento territoriale. Tanto per essere chiari: non c’è dubbio che la figura del politico che abbiamo conosciuto come più rappresentativa del Mezzogiorno, cioè quel politico che gestiva sul territorio un meccanismo perverso di domanda e offerta, ebbene quella figura non c’è più. Non vorrei però che a queste figure di mediatori territoriali si sostituisse una logica che, mi pare, sta tentando fortemente le attuali formazioni politiche, quella di fare il sindacato del territorio.

Sia al nord che al sud?

Certamente. Al nord la Lega, nel Mezzogiorno il partito del sud. Il sindacalismo territoriale sarebbe la versione peggiorativa di un ceto politico responsabile. Invece il vero problema è accompagnare i soggetti più vitali dell’economia reale verso i processi di cambiamento. È da lì che nasceranno le nuove élites.