Domenica sul “Corriere della Sera” Ernesto Galli della Loggia ha accusato la politica nel suo complesso di aver ormai divorziato dalla cultura. Il punto di partenza polemico è ancora una volta relativo ai festeggiamenti dei 150 anni di unità d’Italia, ma poi il ragionamento dello storico perugino si allarga: i governi e le maggioranze parlamentari navigano a vista, senza grandi progetti, senza un’idea di Paese da rappresentare, senza passioni da mettere in campo.
Ieri gli ha risposto il Ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, rispedendo al mittente l’accusa. Tre i punti della difesa: 1. non è vero che la politica ha divorziato dalla cultura, e il proliferare di Fondazioni di alto profilo, legate ai leader dei grandi partiti, sta funzionando da levatrice di una nuova generazione di politici e intellettuali; 2. sono spesso gli intellettuali ad aver perso una funzione politica, eccedendo nella critica, ma rendendosi incapaci di una reale proposta, di una leale collaborazione con la politica; 3. non è vero che il PdL al governo navighi a vista, al contrario tutta la sua azione mostra un disegno liberale e riformista, che troppi intellettuali ancorati ai cliché del passato non riescono ancora a comprendere.
Al di là della risposta di Bondi, per certi volti dovuta e un po’ scontata, il tema è centrale merita di essere approfondito. Tra le righe di questo dibattito emerge un problema, che in casa PdL qualcuno ha cominciato ad affrontare: quello della capacità di generazione di un “immaginario”, di una cultura politica che superi la semplice “cultura del fare” e dell’efficientismo amministrativo (che pur rappresentano elementi non secondari del successo berlusconiano), per produrre quel che alla politica, di oggi e di domani, non può mai mancare: gli slanci ideali, le mobilitazioni delle passioni, i sogni e le narrazioni condivise.
Il Ministro Bondi non ne parla, ma contrariamente a quanto si sia soliti pensare, è proprio la battaglia dell’immaginario ad avere permesso a Berlusconi di imporre la sua leadership in questi anni. La presa di possesso sull’immaginario della libertà e della fiducia nelle capacità personali di essere protagonista, spiegano abbondantemente l’ascesa e il successo di Forza Italia nel corso degli anni Novanta. Allo stesso modo l’ascesa leghista non sarebbe comprensibile se non si partisse dalla straordinaria capacità del suo leader di dare forma, anche in chiave mitica e simbolica, alle attese, alle speranze e alle frustrazioni di una parte consistente della popolazione del Nord.
Se però la capacità immaginativa di Umberto Bossi ha saputo modificarsi nel tempo, sopravvivendo e addirittura rafforzandosi anche dopo aver messo all’incasso il costitutivo tema del federalismo, non altrettanto sembra potersi dire di Silvio Berlusconi, la cui spinta liberale (in termini culturali e, per l’appunto, di immaginario) appare sempre più appannata. La sensazione è che il PdL debba andare alla ricerca di nuovi ideali unificanti per costruire una identità autenticamente popolare, non semplice sommatoria di culture e storie differenti, ma novità culturale capace di mobilitare e produrre identificazione.
Il politologo Alessandro Campi, intellettuale di punta del think tank finiano “Fare Futuro”, ha sottolineato a più riprese in queste ultime settimane la debolezza contenutistica e progettuale del Popolo delle Libertà, che si riverbera in una navigazione a vista in cui le esigenze tattiche contano molto più delle necessità strategiche prospettiche. Questo giudizio, espresso inizialmente per spiegare la mancanza di progettualità rispetto all’imminente festeggiamento dei 150 anni di unità d’Italia, appare utilissimo anche per comprendere le recenti fibrillazioni sul tema della rimontante “questione Meridionale” e della ventilata nascita di un Partito del Sud. Proprio la debolezza del PdL spigherebbe infatti al contempo la rumorosa egemonia culturale svolta sempre più dalla Lega Nord (sui temi della sicurezza, dell’immigrazione e ora anche rispetto alla necessità di connettere gli stipendi reali con il costo della vita, reintroducendo un meccanismo simile alle vecchie “gabbie salariali) e la speculare (e altrettanto rumorosa) campagna sudista. Non è un caso che proprio dal mondo finiano sia partito in questi mesi un vigoroso forcing di tipo politico-culturale, proprio utilizzando la nuova Fondazione Fare Futuro. Da un anno siamo di fronte ad una vera campagna di riposizionamento da parte del Presidente della Camera, approdato in scioltezza a un impianto di tipo individualista-libertario che fa da sostegno all’ideale di una “nuova laicità positiva”.
Si comprende allora come, al di là delle accuse mosse da Galli della Loggia e delle risposte di maniera del ministro Bondi, il vero problema che si può porre è il seguente: si sta strutturando un’egemonia culturale de facto tanto della matrice securitaria di stampo leghista, quanto di quella libertaria radunata attorno a Gianfranco Fini? Ed è possibile immaginare un’alternativa credibile a questa accoppiata?
Da qualche mese sembrano essersi messe in moto nuove e concomitanti energie anche nell’ambito delle componenti dotate dentro il PdL di sensibilità e radicamento autenticamente popolari, alla ricerca di una comune piattaforma orientata al personalismo comunitario e all’economia sociale di mercato. Un primo tassello di questo indispensabile lavoro si è avuto a marzo con la tre giorni della Rete Italia di Roberto Formigoni organizzata dalla Fondazione Europa Civiltà, i cui atti sono ora disponibili in volume (Cattolici e laici per un Popolo della libertà, editore Marietti). Più recentemente si è poi avuto conferma di un work in progress a Orvieto, con il convegno organizzato dal leader della destra sociale, Gianni Alemanno, eloquentemente intitolato “La persona prima di tutto”, cui hanno partecipato Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. In mezzo, proprio alla sensibilità del Ministro Sacconi si deve la notevole novità rappresentata dal “Libro Bianco” sul futuro del welfare, che segna un passaggio culturalmente decisivo rispetto a precedenti tentativi di ridefinizione “da destra” delle politiche sociali.
Sta forse nascendo una proposta culturale nuova, dunque, capace di unire in modo stabile il popolarismo cattolico, il riformismo socialista, il liberalismo popolare e la destra sociale. Ma il vero banco di prova verrà, ancora una volta, sul piano dell’immaginario, ovvero sulla capacità che questa nuova cultura riesca a innescare un processo di identificazione collettivo, fatto di simboli, di grandi obiettivi, di sensibilità diffuse. Generando in questo modo qualcosa di più di una leadership personale o di un programma utile solo per vincere un’elezione.
(Luca Pesenti)