L’estate, che passerà come quella delle baruffe leghiste di Ponte di Legno, dovrebbe essere decrittata con un po’ più di riflessione e un po’ meno di allarmismo, un pò di attenzione agli obiettivi veri e meno enfasi alle minacce alla patria, alla lingua e alla scuola. Operazione del resto non semplice date le complicazioni bossiane, frutto di una strategia a stop and go, attacco e smentita, affondo e marcia indietro che provoca visibili spaesamenti, con relative controsparate degli alleati, e smuove gli avversari dalle loro tradizionali postazioni, convergendo verso la centralità del Pdl.
Tuttavia questa non sarà un’estate di fuochi artificiali leghisti da archiviare in fretta. Perché, al di là delle cannonate (a salve) contro il povero Mameli e contro i prof meridionali – cui si vorrebbe imporre l’esame di dialetto, senza peraltro spiegarci cosa c’entri l’insegnamento di matematica o fisica o chimica con un idioma valtellinese o palermitano o bergamasco – la strategia del Senatur è quella di aprire un contenzioso interno al PdL, da oggi alle regionali dell’anno prossimo.
È fin troppo chiaro che insegnare il dialetto a scuola è mera illusione, una specie di vessillo agitato al vento dell’estate che passa e va. La stessa “Padania” scritta in dialetto ora veneto ora piemontese ora lombardo è un’astrazione, un puro esercizio virtuosistico, come lo erano le pagine del giornaletto “Il Rugantino” in perfetto romanesco. In realtà, dietro a questo agitare di bandierine di guerra come nei film giapponesi di Kurosawa, si celano diversi obiettivi concreti facenti parte di quel contenzioso che Bossi mette in conto di risolvere a proprio favore quando si tireranno i conti dei governi regionali del nord. Ovvero del Lombardo-Veneto.
Lo stato maggiore bossiano non nasconde affatto questa possibilità e parla apertamente di fine corsa sia per Formigoni che, a maggior ragione, di Galan. Ciò è possibile, certo, ma è realistico? Formigoni è un leader nazionale, un gradino sotto il Cavaliere e non si vede quale contropartita la Lega possa offrirgli, tanto più se il Pdl mantiene in Lombardia la netta supremazia in voti. Galan è già stato “soccorso” dalle avance del Pd veneto, mentre sulla stessa lunghezza d’onda, ricambiata, si sta muovendo Casini a livello nazionale.
Insomma, le mosse guerresche leghiste stanno provocando contromosse e mettendo in moto il quadro politico, dove la leadership di Berlusconi non sembra appannarsi ma, semmai, acquistare più chance da simili riallocamenti che ne fanno risaltare le centralità. Bossi è un animale politico che questi giochi a scacchi non può ignorare. Tanto più che le sue fermate improvvise, i rinculi e le smentite del tipo: “Tutte ‘ste polemiche sono un diversivo per non parlare delle gabbie salariali” rivelano quale sia il vero punto di discussione, la reale posta in gioco e, infine, i più concreti timori della Lega.
Si tratta della situazione economica difficile in un Nord dove l’elettorato di Bossi è sottoposto alla più difficile e dura delle prove. Crisi dei ceti operai, dei lavoratori autonomi, delle piccolissime imprese, del popolo delle partite Iva: questo è il vero punto dolente, il più complicato dei passaggi a Nord est. Con un Sud che giocherà la sua contropartita, costi quel che costi. Anche questo il Senatur lo sa. E Berlusconi?