La nostra memoria, è vero, si è fatta corta. Molto corta. Ma qualcuno ricorderà che poco più di un paio di anni fa ci era stato promesso – Veltroni al Lingotto, Berlusconi dal predellino in piazza San Babila – un esito bipartitico (ricordate bene: bipartitico) dell’interminabile transizione italiana.

Poi, per le elezioni, Berlusconi ha confermato, come era ovvio, l’alleanza con la Lega. E Veltroni, come era molto meno ovvio, ha pensato bene di mitigare la sua “vocazione maggioritaria” apparentandosi con l’Idv di Di Pietro. La scelta di Walter si è rivelata perdente, anzi, suicida, da subito: per lui e per il Pd. Quella di Silvio, no. Perché Berlusconi le elezioni le ha stravinte. E sulla scorta di questa vittoria ha dato vita a un partito maggioritario del centrodestra, il Pdl: una forza nazionale di tutto rispetto, per sua natura vocata anche a contenere le pretese di un alleato non facile come la Lega. Ma è bastato poco a rendere chiaro che le cose non stavano così. E tutto è diventato ancora più chiaro con le elezioni europee.



Forse è troppo dire che, per Berlusconi, è iniziata la parabola discendente, ma di certo è di un leader ammaccato che fatica a tenere insieme i suoi che stiamo parlando. Il Pdl latita quasi quanto il Pd. La Lega, in ascesa, detta l’agenda politica, e non ci vuol molto a capire che, appena dietro certe polemiche estive spesso vagamente surreali (i dialetti, l’inno nazionale, le gabbie salariali e altro ancora) c’è l’intento di tener viva una campagna politica e culturale che nelle elezioni regionali della prossima primavera ha qualcosa di più che il suo primo, serio momento di verifica.



Proviamo a dirlo senza retorica e, anche in questo caso, senza lasciarci suggestionare troppo dalle schermaglie d’estate: in gioco, e stavolta per davvero, è l’unità nazionale. Altro che bipartitismo. Dei due grandi partiti moderati, uno di centrodestra, l’altro di centrosinistra, che ci erano stati promessi, non esiste traccia: i grandi partiti, vecchi o nuovi che siano, esistono se e in quanto esercitano una funzione nazionale unificante, che è il risultato di un’intuizione del mondo, di un’idea di Paese, di una presenza organizzata in una società di cui si propongono come collante.



I luoghi della mediazione politica sembrano saltati. Le spinte centrifughe (vedi il profilarsi del “partito del Sud”) non sono soltanto largamente prevalenti: sono incontrollate e, almeno all’apparenza, incontrollabili; così come le tendenze a rifugiarsi nel proprio particolare, si tratti della propria famiglia, della propria comunità, del proprio territorio o, molto più semplicemente, di se stessi. Sull’assenza di qualcosa che somigli a un’opposizione politica in grado oggi di controllare e incalzare chi governa, domani di candidarsi con un minimo di realismo alla guida del Paese, è quasi inutile soffermarsi. Se non per segnalare che questa assenza complica ulteriormente un quadro già complicatissimo. E paradossalmente non aiuta la maggioranza, ma ne evidenzia i limiti, l’eterogeneità e, se questa parola in politica ha un senso, la leggerezza.

Che così non si possa continuare troppo a lungo, sembra evidente. Molto meno chiaro è come si possa superare questo stato di cose. Le divisioni nella maggioranza, i limiti del Pdl, l’insistenza della Lega restituiscono oggettivamente un ruolo all’Udc, che guadagna tanto più spazio e tanta più possibilità di iniziativa politica quanto più mostrano la corda non solo il bipartitismo, ma anche un già stremato bipolarismo. Le elezioni regionali, da questo punto di vista, sono già adesso, quando bisogna cominciare a mettere le prime carte in tavola.

Oggi le geometrie variabili suggerite da Buttiglione sembrano ancora una proposta pressoché irrealizzabile, anche se non sono affatto fantapolitica. Domani, chissà. Se qualcosa di simile prendesse corpo, il discorso non sarebbe ovviamente circoscrivibile a qualche pur importante Regione italiana. Si delineerebbero, con esiti politici imprevedibili anche sul breve periodo, un processo di scomposizione e di ricomposizione non solo dell’attuale centrodestra ma anche del centrosinistra, in vista di una fuoriuscita dal bipolarismo o, più probabilmente, di un bipolarismo diverso.