«Smettiamola di deprimerci». Dario Franceschini, alla Festa del partito a Genova, si mostra rassicurante con il popolo democratico e passa all’attacco con la maggioranza  verso la quale «il Pd ha il dovere di alzare la voce contro il rischio di un nuovo autoritarismo».
Mentre inizia il countdown verso il congresso e le primarie dell’autunno caldo della sinistra, Franceschini mette in guardia dal pericolo che un partito già fragile e senza «un’identità definita» si avviti in uno scontro interno. E così, nella sua prima uscita dopo la pausa estiva, sul palco allestito nel Porto Antico di Genova, punta più a fare il segretario che il candidato nella sfida a tre per la leadership. Prima di farsi la guerra, il primo compito del Pd «è fare l’opposizione» che non vuol dire essere antiberlusconiani o no, ma «alzare la voce» davanti alle «intimidazioni» del governo al ruolo del Parlamento come alla unità del paese e alla stampa.
Dalla platea si alza il grido di un militante: «Basta buonismo». E Franceschini rincara contro il pericolo dell’assuefazione verso «sparate di Bossi o di Berlusconi che nella maggioranza scivolano sempre via». Certo il segretario, che punta a vincere il congresso, è cosciente dei limiti non piccoli del Pd e del centrosinistra: «Chi ci ha votato – ammette- non sa che cosa vota. Dobbiamo ricostruire un’identità a partire dai valori».
Ricreare l’identità della sinistra e uscire dal circolo vizioso degli attacchi interni al leader di turno. Una tendenza che, è convinto Franceschini, sarà affrontata dal congresso e dalle primarie di ottobre perché da «una sfida vera, visto che a differenza delle altre primarie l’esito non è scritto, uscirà un segretario che dovrà avere il sostegno di tutti». Per vincere la battaglia, Franceschini usa, almeno in partenza, la rassicurazione più che la minaccia, evitando attacchi agli avversari e garantendo che non c’è il rischio di scissioni. E invita a evitare «di farci male sui giornali», preferendo il telefono o le mail, come avvenuto per l’ultima polemica dei dalemiani contro un programma della festa troppo sbilanciato a favore del segretario.
E per buttare acqua sul fuoco delle polemiche interne, risponde così il segretario alla domanda su chi vincerà il congresso: «Vincerà il Pd». E subito rivendica  il suo lavoro di questi mesi che, se vince, proverà «a continuare a fare».
Quindi passa al nodo delicato delle alleanze e al rapporto con il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro: «Può darsi – spiega – che alle regionali ci alleeremo in qualche regione con l’Udc, ma non sarà deciso a Roma». Le alleanze si decideranno sul territorio sulla base dei programmi e di un principio «dal quale non torneremo indietro»: mai più alleanze «da Pecoraro a Dini, da Mastella a Diliberto». E con Di Pietro, ma anche con l’Udc, «nostri potenziali elettori», «il tempo ci dirà se ci sono le condizioni per un’alleanza che vinca e anche governi». E, anche se non lo dice, Franceschini spera di essere lui a guidare la costruzione di un’alleanza alternativa a Berlusconi.



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