Antonio Polito, direttore de Il Riformista, è un grande conoscitore della realtà inglese, in particolare ha seguito con grande interesse gli anni di Governo di Tony Blair, che ha profondamente cambiato la politica laburista. Naturale chiedergli un commento a caldo sul discorso pronunciato ieri dall’ex Primo ministro britannico al Meeting di Rimini.



Direttore, quali sono le sue prime impressioni sul discorso tenuto da Tony Blair al Meeting di Rimini?

Ho trovato qualcosa che sinceramente mi aspettavo: il legame tra Blair e la realtà del Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione non riguarda soltanto la comune fede cattolica. C’è qualcosa di più profondo dal punto di vista politico, e che lui ha detto chiaramente: la concezione della sussidiarietà come “terza via”, come alternativa allo Stato burocratico che decide per le persone e alla giungla del mercato “sregolato”.



Si tratta del tentativo di portare la società civile, compresi volontariato e non profit, nell’economia. Questa è stata un’esperienza cruciale del blairismo, è stato un tratto caratterizzante anche della riforma dei servizi pubblici che Blair ha imposto. Si tratta di idee molto vicine a quelle della Fondazione per la Sussidiarietà.

Blair ha parlato anche della sua fede. Che ruolo ha avuto nella sua carriera e nel suo mondo di concepire la politica?

 

Blair non ha mai fatto un uso “politico” della propria fede, come fanno spesso i politici in Italia. Ricordo che quando gli fu chiesta un’intervista sulla sua fede, il suo portavoce Alistair Campbell rispose “We don’t do God”, cioè noi non facciamo Dio, non ci occupiamo di Dio.



Tuttavia Blair ha sempre avuto di portare nella vita pubblica e nell’organizzazione dello Stato la spinta che gli veniva dalla fede cristiana. Come ha anche detto ieri, concepisce la fede come “animatrice” di un’idea di società. Davanti a una platea di credenti, Blair non ha cercato l’applauso su questioni di fede interiore. Ha invece spiegato qual è per lui il valore pubblico della fede per la società.

Blair ha anche toccato il tema del multiculturalismo e dei conflitti che possono derivare dalla religione. Cosa l’ha colpita del suo discorso riguardo a questi temi?

Forse non tutti sanno che Blair è anche un grande conoscitore del Corano. Più volte ha fatto discorsi alla comunità musulmana in Gran Bretagna e nei paesi islamici in cui si è recato. Lui è convinto che le fedi possano e debbano convivere e che la fede è stata sfruttata in modo “politico” soprattutto da parte dell’integralismo per acuire i conflitti. Oggi ha detto cose importanti, soprattutto citando e rifacendosi al Magistero di Benedetto XVI e ribadendo che fede e ragione sono alleate e non avversarie, si rafforzano a vicenda.

Qual è l’elemento che più l’ha colpita nel modo di concepire la fede dell’ex primo ministro?

Per Blair la fede è un fattore che valorizza profondamente la comunità, come elemento di coesione e al tempo stesso di apertura. Non ha mai nascosto del resto di sentirsi, dal punto di vista filosofico, un comunitarista. Ritiene cioè che la comunità sia la cellula della società in grado di salvarla dall’imbarbarimento, dal decadimento, molto più di quanto possa fare lo Stato. Questa è stata una vera e propria “rivoluzione” per il Labour, che per lungo tempo è stato un partito statalista.

Ha ascoltato un Blair molto diverso dal quello che ha conosciuto al governo?

No, al contrario. Mi ha colpito molto la somiglianza del discorso di oggi con quelli che gli ho sentito fare da Primo ministro. D’altra parte le sue scelte sono state sempre sinonimo di coraggio e apertura. Sulle questione bioetiche, ad esempio, il suo Governo ha sempre mostrato posizioni laiche e molto avanzate.