«Anche quando annuncia una verità scomoda, la Chiesa resta con chiunque amica». Il discorso del presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco, in apertura del consiglio permanente della Conferenza episcopale, era atteso e come c’era da aspettarsi ha fatto discutere. Tutti a cercarvi i postumi del caso Boffo, gli ulteriori sviluppi della famosa “rottura” tra la Segreteria di stato e la Cei, l’inizio di una “fase due” con il partito al governo e il suo leader. La «gravità dell’attacco subìto» rimane, certo. Ma il cardinale, più che promozioni e bocciature del premier e della maggioranza – ai quali non ha mancato certo di dire la sua – ha messo a tema la sfida che attende la Chiesa nella società italiana. La «presenza leale e costruttiva» – ha detto Bagnasco – di chi conosce bene «i principi e le regole che reggono una democrazia pluralista». Non ce ne vogliano, sembra dire il presule, coloro che parlano continuamente di interferenza della Chiesa, come pure quelli che vorrebbero svecchiare il Concordato, magari mandandolo in soffitta; ma la verità, come abbiamo fatto tante volte, la dobbiamo dire. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Piero Ostellino, editorialista del Corriere e opinionista.



Ostellino, la prolusione del cardinale Bagnasco è stata subito letta in chiave politica, cercandovi una condanna o un’assoluzione di Berlusconi e del governo. È una chiave di lettura che condivide?

No, perché la mia impressione è quella di un discorso innanzitutto di profilo pastorale e teologico. Se Bagnasco avesse parlato solo da politico, non avrebbe citato, con Benedetto XVI, «il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto». Si può «lavorare per se stessi», senza perseguire il bene comune, anche dentro la Chiesa. Chi dice questo non fa politica ma è preoccupato degli uomini. E conosce benissimo le contraddizioni e le divisioni legate alle preferenze, anche politiche, tipiche del mondo degli uomini.



Si riferisce alle ultime polemiche che avrebbero diviso la Cei dalla Segreteria di stato, il cardinal Bagnasco dal cardinal Bertone?

Anche. La prolusione passa sopra il tema della frattura perché non può essere quello l’argomento di un discorso del presidente dei vescovi italiani. Cosa che sarebbe invece avvenuta se l’orizzonte fosse meramente “politico” nel senso mondano del termine. Ma l’istituzione è fatta di uomini. Che dentro un’istituzione come la Chiesa vi sia una diversità di opinioni, e che qualcuno sia più radicale nelle critiche al governo e qualcun altro più prudente, questo mi pare del tutto normale.



Bagnasco esprime dolore per l’esito del caso Boffo e parla di un «allarmante degrado di quel buon vivere civile che tanto desideriamo e a cui tutti dobbiamo tendere». Alla luce delle ultime vicende del paese, le pare una valutazione fondata?

La sottoscrivo e da liberale e non credente la penso esattamente come Bagnasco. Si sta perdendo il senso della misura e della convivenza civile. Se dovessimo spiegare ai marziani cos’è accaduto nell’ultimo periodo, dovremmo dire che a chi ha avanzato forti riserve al capo del governo sulla sua condotta morale individuale, è stato detto: taci tu, che vai con gli uomini. Un proverbio inglese dice che i gentiluomini parlano di princìpi – come fa Bagnasco -, mentre la servitù parla delle persone. Questa personalizzazione volgare della politica è una manifestazione evidente del degrado civile nel quale sta piombando il paese.

Bagnasco parla ancora di un’Italia «attraversata da un malessere tanto tenace quanto misterioso, che non la fa essere una nazione del tutto pacificata al proprio interno, perché attraversata da contrapposizioni radicali e risentimenti». È un giudizio grave.

 

 

Sì, è un giudizio civile molto grave che riflette in pieno la polarizzazione estrema del sistema italiano. Prima della rivoluzione giudiziaria il bipolarismo non era realmente praticabile per la presenza di un partito che nessuno si poteva permettere di mandare al governo. La Dc, con i suoi alleati, assorbiva le tensioni che c’erano all’interno della società e le ricomponeva in una sintesi politica. Quell’equilibrio è saltato e un assetto stabile non è ancora stato trovato. Col risultato che nella polarizzazione è “precipitato” tutto, non solo gli interessi reali ma anche i valori e i princìpi. Questo provoca esattamente quello che Bagnasco denuncia.

 

«Niente – dice il presidente della Cei – ci è più estraneo della volontà di far da padroni. Conosciamo bene i principi e le regole che reggono una democrazia pluralista». Eppure Sartori, in un editoriale del Corriere di una settimana fa, accusa il Vaticano di aver “dettato” la legge sul testamento biologico al governo.

 

Ma no, il Vaticano non impone alcuna “dittatura” teologica. Fa predicazione morale, che uno può accettare o non accettare. Mi sembra una posizione più laicista che laica. Mentre da parte della Chiesa cattolica può esserci in alcuni casi, ed è fisiologico, una tentazione clericale, di là si vede spesso un “clericalismo” di parte laica, un’intransigenza “bigotta” ma di segno opposto. Bagnasco invita addirittura i vescovi a «riflettere sulla base secolare del nostro essere italiani». Mi sembra segno di grande maturità. Che la Chiesa abbia assolto una funzione di educazione civile del paese è nella storia e negarlo sarebbe completamente privo di senso.

 

Lei, da liberale, è d’accordo anche sulle questioni etiche?

 

Non concordo sul metodo. Certi valori – dice benissimo la Chiesa – non sono negoziabili, e penso per esempio al diritto alla vita del nascituro, ma proprio per questo dovrebbero diventare campo esclusivo della scelta del singolo. Questo non lo dico alla Chiesa, che con coerenza li difende, ma ai politici: non si possono trasformare quei valori in leggi, codificarli in un senso o in un altro, perché sono contenuti non gerarchizzabili e come tali devono essere lasciati alla coscienza individuale. La Chiesa ha sempre difeso la libertà di coscienza. Lo faccia anche chi ha il compito di fare le leggi.

 

Se la crisi della politica riflette una crisi di valori, come possiamo uscirne?

 

Condivido la preoccupazione e l’allarme lanciati da Bagnasco sul nichilismo, sia pure con alcune osservazioni. Quel relativismo che la Chiesa condanna, da vecchio liberale lo ritengo almeno in parte positivo e lo chiamo pluralismo dei valori. È uno spazio di libertà contro l’assolutismo. Ma quando il relativismo giunge a rendere tutto uguale e quindi nullo nel suo intrinseco valore, lì cadiamo nel nichilismo. Su questo mi trovo in sintonia con la Chiesa, come quando Bagnasco parla di centralità della persona umana. Il cristianesimo la fa consistere nell’essere fatto l’uomo a immagine somiglianza di Dio, io da non credente mi limito all’intangibilità della persona. E lì mi fermo.

 

Il pluralismo dei valori è assoluto?

 

Ai tempi della colonizzazione inglese nel Punjab i notabili locali indiani pretendevano che il governatore rispettasse la tradizione locale di bruciare le vedove sulla pira del marito morto. Al che il governatore disse che anche gli inglesi avevano una tradizione: quella di impiccare quelli che bruciano le vedove. Secondo me questa è una tradizione migliore della prima.