Le funzioni di Comuni e Province

Come nelle tre precedenti, anche in questa legislatura il Governo, nel Consiglio del ministri del 14 luglio, ha approvato una riforma dell’ordinamento dei governi locali.

Il provvedimento in questione è uno schema di disegno di legge composto da 34 articoli suddivisi in undici capi e si propone di dare attuazione all’articolo 117 lettera p della Costituzione, attraverso lo strumento della delega al Governo e la definizione dello spazio per l’azione legislativa delle Regioni.



Nei primi 14 articoli individua e disciplina le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, mentre i successivi sono dedicati in prevalenza alla razionalizzazione delle Province e degli uffici decentrati dello Stato, alla soppressione di enti, organismi, alla riduzione degli organi degli enti locali.



Quest’ultima parte evidenzia una discontinuità rispetto al cosiddetto Codice delle autonomie elaborato dal Governo precedente approvato nel consiglio dei Ministri del 19 gennaio 2007 che non ha trattato queste importanti materie per l’attuazione del federalismo.

L’analisi del provvedimento sarà svolta in tre parti distinte: la prima riguarda la questione delle funzioni dei Comuni e delle Province, la seconda l’azione di semplificazione e di razionalizzazione, la terza concentra l’attenzione sulla soppressione delle Comunità montane.

Una prima considerazione generale sul provvedimento evidenzia con favore la volontà di incidere sulla geografia amministrativa complessiva, governi locali, enti e organismi, uffici territoriali del Governo, con una azione di semplificazione, ma senza modificare i livelli territoriali di governo definiti dall’art. 114 della Costituzione. La valutazione dell’effettiva portata di questa azione dovrà però essere misurata dopo la concertazione nelle Conferenze intergovernative e sopratutto nei decreti attuativi.



Per quanto riguarda le funzioni fondamentali dei Comuni, elencate all’articolo 2, va sottolineato che quelle relative all’organizzazione interna dell’amministrazione (elencate nelle lettere a-f: norme organizzative e programmazione delle funzioni, organizzazione dell’amministrazione, gestione del personale, controllo, gestione finanziaria e contabile) possono essere esercitate in forma di Unione di Comuni mentre il grosso delle funzioni, (elencate nelle lettere g-u: principalmente servizi pubblici, pianificazione urbanistica, strade, servizi sociali, edilizia e e servizi scolastici, polizia municipale e sicurezza urbana, servizi anagrafici) sono obbligatoriamente eserciate in forma associata (cioè mediante convenzioni, Unione di Comuni o accordo di programma) da parte dei Comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti.

[1] Si rinvia a Ferri (2008) Governare le Città metropolitane. Un istituzione del federalismo. Carocci, Roma, pp. 238-49, per un analisi approfondita.

Per le materie in parola, le Regioni, sulla base dei principi di economicità, efficienza e di riduzione delle spese individuano la dimensione ottimale per il loro svolgimento. Questa norma riguarda 4.630 Comuni su 8.101 (così distribuiti: Regioni nord occidentali 2098; nord orientali 716; centrali 484; meridionali 955; insulari 377) ed una popolazione residente di 5.950.861 unità.

 

Per l’assegnazione delle funzioni amministrative (di cui all’articolo 117 comma 2 lettera p della Costituzione, che attribuisce l’individuazione e l’allocazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Città metropolitane e Province alla competenza legislativa statale) il Governo, nell’esercizio della delega, dovrà disciplinare le procedure per la determinazione e il trasferimento contestuale dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per il loro esercizio. Dunque, al trasferimento delle funzioni tra livelli di governo territoriali è associato anche il personale per il loro esercizio.

 

La disciplina delle funzioni fondamentali delle Province (art.3) non evidenzia innovazioni significative rispetto a quelle tradizionali cosiddette di area vasta (si ricorda solo la specificazione dell’attuazione di piani di risanamento delle aree ad elevato rischio ambientale), mentre quella delle Città metropolitane (art. 4) prevede alcune funzioni aggiuntive rispetto a quelle delle Province che dovrebbero sostituire: organizzazione e gestione dei servizi pubblici metropolitani, azione sussidiaria e coordinamento tecnico amministrativo dei Comuni, pianificazione territoriale e infrastrutturale, mobilità e viabilità, promozione coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

 

In pratica le innovazioni più incisive per le Province sono riscontrabili nelle norme di razionalizzazione e di riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali, della composizione dei Consigli e delle Giunte di cui si dirà nella seconda parte.

 

Dopo aver ricordato che l’assegnazione delle funzioni e delle risorse finanziarie è stata condotta in maniera disgiunta nel processo legislativo del federalismo italiano, va osservato con favore che il provvedimento qui sommariamente esaminato mira a rafforzare l’esercizio di funzioni mediante le Unioni di Comuni a gran parte dei Comuni italiani.

 

La semplificazione e razionalizzazione dell’azione pubblica territoriale

Il provvedimento (art. 14) conferisce al Governo la delega per la razionalizzazione delle Province e la riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali, prevede la loro soppressione in base all’entità della popolazione e del territorio e la riassegnazione delle funzioni, delle risorse e dei Comuni a quelle contigue.

 

In pratica però, i soli due criteri enunciati potrebbero rivelarsi inadeguati per la soppressione delle Province recentemente istituite, o in via di istituzione, poiché esse presentano popolazione, superficie e numero di Comuni molto diversificate (Barletta-Andria-Trani 383.018 abitanti, 1.539 kmq, 10 comuni; Carbonia Iglesias: 131.890 abitanti, 1.495 kmq, 23 comuni; Fermo 176.488 abitanti, 860 kmq, 40 comuni; Medio Campidano: 105.400 abitanti, 1.515 kmq, 28 comuni; Monza e Brianza 731.573 abitanti, 364 kmq 50 comuni; dell’Ogliastra: 58.389 abitanti, 1.854 kmq, 23 Comuni; Olbia-Tempio: 138.334 abitanti, 3.397 kmq, 26 Comuni; Verbania-Cusio-Ossola: 159.040 abitanti, 2.256 kmq, 77 comuni; Vibo Valentia: 170.746 abitanti, 1.139 kmq, 50 Comuni).

 

Mentre si discute sull’eliminazione le Province aumentano (95 nel 1992, 107 nel 2008, 109 nel 2009). Per limitare i cosiddetti costi della politica. si potrebbe da un lato ridurre il numero di quelle esistenti (raddoppiate in Sardegna con la legge regionale n. 9 del 12 luglio 2001), utilizzando indicatori più appropriati (come il grado di urbanizzazione) e dall’altro bloccare l’istituzione di nuove Province che può derivare dalle ambizioni dei circondari (non menzionati nel provvedimento), dalle aspettative di realizzazione delle Città metropolitane, nonché dall’errata convinzione di porre rimedio alla elevata frammentazione dei Comuni (la Regione Valle d’Aosta, 126.660 abitanti, 3.263 kmq, 74 comuni non ha circoscrizioni provinciali).

 

Dalla divisione di una giurisdizione territoriale da un lato possono derivare benefici per gli interessi, le preferenze e l’identità locale, dall’altro un aumento dei costi (duplicazione di organi, esercizio di funzioni, amministrazione, personale, uffici territoriali dello Stato) e, nella nostra fattispecie, rischi per le entrate tributarie autonome (imposta sulle assicurazioni automobilistiche, imposta di trascrizione e addizionale sul consumo di energia elettrica) che potrebbero rivelarsi molto deboli per i territori provinciali prevalentemente rurali e determinare, a lungo andare, un aumento della pressione fiscale.

 

Per le Prefetture, l’art. 15 precisa i contenuti delle deleghe al Governo per il riordino e la razionalizzazione degli uffici periferici dello Stato e del relativo personale, fissando un obiettivo di riduzione del 25% degli oneri amministrativi al 2012.

 

È prevista la soppressione delle circoscrizioni di decentramento (art. 18) per i Comuni con popolazione inferiore a 250.000 abitanti, (secondo l’art. 17 del d.ls 267/00 erano obbligatorie per i Comuni con popolazione maggiore di 100.000 abitanti – realizzate in 41 comuni – e facoltative per quelli con popolazione comprese tra 30 e 100.000 abitanti, realizzate in 42 Comuni).

 

Sono ammesse nei Comuni con popolazione superiore, ma limitati a 8 componenti, per quelli fino a 500.000 abitanti (Bologna (9), Firenze, Bari (9), Catania (10), Venezia (13), Verona (8) (e a 12 per quelli con popolazione superiore. (Roma (20), Milano (9), Napoli (21), Torino (8), Palermo (8), Genova (9), tra parentesi le circoscrizioni attuali, dati Istat 2001.

 

La soppressione incide anche sui consorzi di enti locali e dei bacini imbriferi montani (art. 19) con esclusione di quelli che gestiscono uno o più servizi. Le Regioni possono riassegnare le funzioni sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. La previsione di soppressione delle Comunità montane (art. 17) merita un approfondimento che sarà svolto nella terza parte.

 

Ulteriori interventi di razionalizzazione sono previsti per i Consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario (art. 20) per i quali le Regioni devono procedere sulla base dei principi citati in precedenza. Per gli organi dei Comuni e delle Province l’art. 22 procede a un taglio significativo dei membri dei Consigli comunali (da un massimo di 40 membri peri Comuni con popolazione maggiore di 500.000 abitanti ad un minimo di sei per quelli minori di 3.000 abitanti) e provinciali (da un massimo di 30 membri per quelle con popolazione superiore a 1.400.000 abitanti, a un minimo di 12 per quelle inferiori a 300.000 abitanti) e della composizione delle Giunte comunali (da un minimo di 2 assessori per i comuni compresi tra 1001 e 3.000 abitanti ad un massimo di dieci per quelli maggiori di 500.000 abitanti) e provinciali (da un minimo di 3 per quelle con 12 consiglieri ad un massimo di 8 per quelle con 30 consiglieri).

 

[2] A favore della soppressione si veda Boccalatte., et al. (2008), Abolire le Province, Istituto Bruno Leoni, Milano.
[3] Gli stanziamenti nelle leggi istitutive del 2004 delle province di Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani sono stati nell’ordine pari a 67, 51 e 65 milioni di euro in quattro anni.
[4] Negli ultimi anni la Provincia di Milano ha generato quelle di Lodi e di Monza e Brianza.
[5] La legge finanziaria per il 2008 aveva ridotto i membri dei consigli provinciali a 20, 24, 28 e 36 al variare delle fasce di popolazione.

Infine gli articoli 27 e 28 introducono rispettivamente la definizione di piccoli comuni per quelli con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e misure di semplificazione del bilancio annuale e pluriennale.

 

Con l’asticella posta a 5.000 abitanti tale definizione incide su 5.836 comuni (regioni occidentali 2.486; orientali 968; centrali 642; meridionali 1.225; insulari 515) per una popolazione di 10.590.728 unità. Tuttavia, era opportuno prevedere robusti incentivi per favorire la loro aggregazione, da “forzare” almeno per gli 846 Comuni con popolazione inferiore a 500 abitanti (regioni nord occidentali 576; nord orientali 87; centrali 56; meridionali 89; insulari 38).

 

Infine, in maniera opportuna, secondo principi di equità, uniformità e imparzialità dell’amministrazione fiscale, il provvedimento non prevede l’atteso decentramento del catasto ai comuni. Nell’insieme, le norme esaminate, qualora attuate in tutto il paese, determinerebbero una incisiva semplificazione della geografia amministrativa, ma l’esito effettivo dipenderà in buona parte dall’azione, più o meno virtuosa, delle singole Regioni.

 

La soppressione delle comunità montane e le Unioni di comuni

La finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) aveva imposto la riduzione delle risorse assegnate dallo Stato nel 2007 ed il loro riordino.

 

Su quest’ultimo provvedimento è intervenuta la sentenza n. 237/2009 del 16 luglio 2009 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dei commi 20, 21, ultimo periodo, e 22) perché in contrasto con l’art. 117 della Costituzione. In pratica, per l’abolizione delle comunità montane, prevista dall’art. 17 della nuova Carta delle autonomie, la competenza è solo delle Regioni.

 

La comunità montana è stata istituita come ente di diritto pubblico nel 1971 (legge 3 dicembre n.1102), ma fin dai primi provvedimenti a favore dei territori montani del 1952 e del 1957 è emerso il problema della loro classificazione, trattato con l’utilizzo di criteri fisici, (altimetrici e morfologici) ed economici (il reddito imponibile medio per ettaro).

 

I territori montani sono un costrutto giuridico, puntualmente disatteso: prima dalla commissione censuaria e dalle Regioni che hanno distinto tra comuni interamente e parzialmente montani, poi da numerose leggi speciali, ed infine con il d.lgs 267/00 che ha confermato che le leggi regionali possono includere nelle comunità montane anche comuni non montani ma confinanti con essi. Non solo. Le regioni Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana e Sardegna prevedono anche la presenza dei comuni capoluogo di provincia.

 

Come per altre politiche fondate su una macro zonizzazione, si è verificata una dilatazione dei confini amministrativi che ha penalizzato i piccoli comuni montani. Nel 2009 i comuni totalmente e parzialmente montani sono 4.201 (regioni nord ovest 1.333; nord est 726; centro 612; mezzogiorno 1.530; di cui totalmente montani 3.546: nord ovest 1.273; nord est 637; centro 461; mezzogiorno 1.175). Nel 2001 la popolazione residente in comuni di montagna era di 7.408. 641 unità.

 

Prima del riordino, nel 2006 le comunità montane erano 357 (nord- ovest 105; nord-est 61; centro 64; mezzogiorno 127) diffuse in tutte le Regioni. La loro superficie territoriale montana è poco più della metà di quella totale, i Comuni aderenti e la popolazione sono maggiori nelle regioni meridionali, ma il numero di comuni totalmente montani è più elevato al nord (ad es. 503 comuni in Piemonte e 529 in Lombardia) così come la popolazione 3.965.173 unità contro 2.401.988 unità nelle regioni del sud.

A seguito delle norme contenute nella finanziaria 2008 tutte le Regioni a statuto ordinario, a eccezione del Veneto, hanno deliberato una riduzione delle comunità montane da 300 a circa 185 (in Piemonte sono passate da 48 a 22, in Lombardia da 30 a 23, la Basilicata ha soppresso 14 comunità montane e istituito 7 comunità locali, cioè le Unioni di comuni).

 

Inoltre, l’azione di riordino promossa dal centro ha conseguito una riduzione delle entrate erariali del fondo ordinario delle Comunità montane, (da 189,58 milioni di euro nel 2007 a 90 milioni di euro nel 2009) a fronte di un aumento del fondo nazionale per la montagna da 25 milioni di euro a 39,5 milioni di euro negli stessi anni.

 

Le funzioni tradizionali delle comunità montane sono di programmazione e di spesa con la realizzazione di piani di sviluppo e di interventi finanziati da altri livelli di governo, ma la presenza di duplicazioni e sovrapposizioni con quelle delle province è in contrasto con i principi della Carta delle autonomie.

Le spese per servizi e per il personale riflettono la dualizzazione delle stesse voci tra i comuni del centro-nord e del sud Italia. Infatti nel triennio 2004-06 le risorse erogate per la prestazione di servizi hanno rappresentato la prima voce della spesa corrente nelle comunità montane del Nord e del Centro, con un’incidenza pari al 44,9% e al 44,7%, mentre in quelle del sud la prestazione di servizi è, invece, solo il 26,6% della spesa corrente, mentre quella per il personale ha inciso per il 47,6% (23,3% al Nord; 34,2% al Centro). Risulta omogenea l’incidenza della spesa delle Comunità montane sulla quella consolidata dei Comuni che vi appartengono, mediamente pari a circa il 10 per cento nel 2007.

A fronte della riduzione delle comunità montane va evidenziato l’aumento delle Unioni di comuni,

Da 67 nel 2000 (306 comuni, 660.589 abitanti 318 servizi associati gestiti), a 291 a metà del 2009, con 1.368 comuni e 4.877.842 unità di popolazione, (2090 servizi gestiti in forma associata, nel 2005) così distribuite: 55% al nord, 145 al centro 20% al sud, 1% al sud.

 

Le Unioni, in assenza del vincolo dei comuni montani – ampiamente indebolito – sono più adattabili ad aree territoriali e demografiche diversificate e presentano numerosi vantaggi sperimentati con successo nelle Comunità di comuni diffuse nei territori rurali francesi: responsabilizzazione dei sindaci, flessibilità dei processi decisionali, capacità realizzative, minore conflittualità politica, quantità e integrazione dei servizi gestiti con un numero minore di comuni rispetto alle comunità montane, rilevante ad esempio per la pianificazione intercomunale dell’uso del suolo.

 

[7] In Sicilia, Sardegna – dove erano 25- e Friuli Venezia Giulia sono state abolite rispettivamente nel 1986, nel 2007 e nel 2001, ma le ultime due le hanno reintrodotte nel 2008 e nel 2004).
[8] Si veda De Matteis P., Rigon M. (2009), Le comunità montane: dimensione e composizione della spesa, in L’economia delle regioni italiane, Banca d’Italia, Roma pp. 84-88.

Ora, vista la recente azione di riordino Regioni, sembra improbabile che esse procedano a nuovi interventi di soppressione. Tuttavia, sulla base della Carta delle autonomie, le Regioni possono, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, attribuire le funzioni delle comunità montane alle Unioni di comuni.

 

Del resto, l’autodifesa delle Comunità montane è debole: richiama la democrazia locale, l’articolo 44 della Costituzione (sulla proprietà terriera) ed il livello di efficienza raggiunto.

Naturalmente lo Stato, oltre al buon centralismo offerto dalla nuova Carta delle autonomie, può fare molte altre azioni a favore dei territori montani, ad esempio istituire le no tax area.