In un’intervista a ilsussidiario.net Luciano Violante ha parlato di oligarchie politiche che scelgono i parlamentari, privando il paese di una rappresentanza reale. E ha auspicato che la riforma elettorale venga messa al primo posto dell’agenda politica, dichiarandosi favorevole alla vecchia legge Mattarella. Sul tema interviene il politologo Roberto D’Alimonte. «Non ho un pregiudizio negativo sull’attuale legge elettorale: è meno “porcellum” di quanto si pensi, perché vincola i partiti a dichiarare prima davanti agli elettori con chi intendono allearsi e questo a molti dà fastidio. Il sistema tedesco? No, grazie. In Italia farebbe aumentare la frammentazione e il trasformismo».



Violante auspica oggi, ancor più delle riforme costituzionali, una nuova legge elettorale. Questo perché il sistema elettorale attuale concentra il potere «all’interno di una ristrettissima oligarchia politica, di vario colore». È d’accordo?

A mio avviso serve un approccio sistemico al problema, perché la legge elettorale ha dei riflessi sulla forma di governo e viceversa. Ecco perché penso che legge elettorale e riforme debbano andare di pari passo. E non parlo solo di riforme costituzionali, ma anche della riforma dei regolamenti parlamentari e del finanziamento pubblico ai partiti. Violante però ha ragione quando parla di oligarchie di partito.



Secondo l’ex presidente della Camera «la mancanza di rappresentanza politica della società ha portato a un impoverimento ideale e politico preoccupante». Qual è allora sistema elettorale in grado di rappresentare al meglio la nostra pluralità sociale?

Mi sembra un’affermazione un po’ forte, perché una rappresentanza politica c’è. Il vero problema è come viene selezionata: ed è il sistema elettorale a determinare la qualità della rappresentanza. Violante auspica un ritorno alla legge Mattarella e mi trova d’accordo, perché credo che l’Italia oggi abbia bisogno di collegi uninominali, che stabiliscono un rapporto diretto tra elettori e rappresentanti. La legge Mattarella era fondata prevalentemente su quel tipo di collegi. Ma le dirò di più: non ho un pregiudizio negativo sull’attuale legge elettorale, il famoso “porcellum”. Non è affatto la “porcata” così definita dal suo stesso autore.



Il ministro Calderoli la ringrazia. Perché dice questo?

Perché fa parte di un modello di governo che abbiamo applicato a livello di comuni, province e regioni e che poi la riforma del 2005 ha adottato, mutatis mutandis, per il parlamento nazionale. Il problema di quella legge – che, mi perdoni, avevo sollevato anche prima della sua approvazione – sta piuttosto nella “lotteria” dei 17 premi regionali al Senato, pronta a scatenare i suoi effetti perversi quando uno schieramento non prevale nettamente sull’altro. Altro problema grave è quello delle liste bloccate. Non sono un fautore delle preferenze, ma visto com’è stata utilizzata la lista bloccata, certamente uno dei correttivi sarebbe il ripristino del voto di preferenza.

Lei quale correttivo auspicherebbe?

Tra lista bloccata, voto di preferenza e collegi uninominali sono per questi ultimi, che per me restano la soluzione migliore. Dopo di che viene il voto di preferenza.

Dal punto di vista di Berlusconi, quello attuale è il migliore dei sistemi elettorali possibili?

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Diciamo che per Berlusconi questo è un sistema elettorale che bene si adatta alla natura del suo elettorato e agli obiettivi che Berlusconi stesso si pone. Ma la sua è una domanda un po’ tendenziosa: fa pensare che questo sistema elettorale sia buono per Berlusconi e cattivo per il paese, ma questo non è detto.

 

In realtà, era lo spunto per un’ulteriore considerazione: esiste la possibilità che nel nostro paese, così faziosamente diviso e contrapposto, una riforma elettorale sia approvata ad esclusivo arbitrio di chi sta al governo?

 

Speriamo di no. Una riforma non deve farla chi governa, le regole del gioco dovrebbero essere decise da una super-maggioranza. Qui però, me lo lasci dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Perché la rottura di questo principio non scritto la si deve alla sinistra e non alla destra, e glie lo dice uno che di destra non è. Si ricorda la riforma del titolo V della Costituzione? Fu fatta con pochi voti di maggioranza. Così facendo il governo di centrosinistra ha creato il precedente.

 

Il modello tedesco, inteso come sistema proporzionale con soglia di sbarramento, potrebbe funzionare anche in Italia?

 

Sono convinto di no, perché conta moltissimo il contesto, culturale e sociale, in cui viene inserito un sistema elettorale. L’import del modello tedesco in Italia favorirebbe in modo eccessivo la frammentazione politica e il trasformismo. D’altra parte questo è già avvenuto in Germania: Cdu e Spd vent’anni fa avevano insieme l’80 o il 90 per cento dei voti, oggi ne hanno meno della somma di Pd e Pdl in Italia. La frammentazione darebbe un potere di ricatto fortissimo alle piccole formazioni che riuscissero a superare la soglia del 5 per cento. Avremmo più di un Ghino di Tacco col potere di condizionare la formazione dei governi.

 

Ma perché il sistema tedesco in Italia gode di questa popolarità?

 

Perché i fautori vi vedono la possibilità di un margine di manovra che l’attuale sistema non consente. Premio di maggioranza e collegi uninominali vincolano i partiti a dichiarare prima davanti agli elettori con chi intendono allearsi, e questo a molti dà fastidio. Secondo alcuni crea una “rigidità” politica; io la chiamerei responsabilità. Cosa impedisce a Casini di dire ai suoi elettori: alle prossime elezioni politiche si va col Pd? È ovvio: la paura di perdere una fetta del suo elettorato moderato. Meglio il sistema tedesco, così ognuno va per conto proprio e dopo le elezioni, a seconda del risultato, si decide quale maggioranza fare. “Gli elettori – si dice – capiranno”. Il sistema tedesco piace non solo a Casini, ma anche a D’Alema.

 

Perché i tedeschi possono avere un sistema in cui le alleanze si fanno dopo il voto e noi no?

 

Perché la Germania è la Germania, l’Italia è l’Italia. Mi sembra francamente l’unica risposta possibile. Dispiace, ma è così. Si parlava di contesto culturale e sociale, no? Questione di maturità politica.

 

Le elezioni tedesche hanno confermato che la sinistra attraversa una crisi senza precedenti. Il destino della sinistra moderata è quello di svuotarsi a favore dell’opposizione più radicale, si chiami essa Die Linke o Italia dei valori?

 

Il problema della sinistra moderata è che oggi non ha una sua identità specifica e allora perde voti a destra e a sinistra. Questo vale sia per la Germania che per l’Italia. Non è riuscita a produrre una sintesi accettabile da parte del voto moderato, di cui c’è bisogno per fare maggioranza, e della sinistra tradizionale. Peccato, perché un paese democratico a questa sintesi politica non può rinunciare.