Sulla crisi, adesso, esiste una verità ufficiale, è stata espressa un’analisi “politicamente corretta”. A dettare la linea è stato – niente meno – il presidente della Repubblica con il suo messaggio al Meeting di Cernobbio. Napolitano ha stabilito che la crisi non è finita ed avrà ripercussioni sul mercato del lavoro. Ovviamente, l’esternazione del Capo dello Stato ha suscitato l’ovazione della sinistra. È singolare il dibattito sulla crisi: dall’opposizione continua a venire l’accusa alla maggioranza di aver sottovalutato la crisi e di aver adottato misure insufficienti a farvi fronte, nonostante che il tasso di disoccupazione in Italia sia di due punti al di sotto della media Ue. Il Governo e la maggioranza, invece, non concedono nulla al facile ottimismo e non si nascondono i problemi che potranno insorgere. Le loro valutazioni sulla crisi sono più o meno le stesse di tutti gli organismi internazionali, da cui giungono segnali di inizio di ripresa, sia pure corredati di grande prudenza. Anche la Banca d’Italia, attraverso il suo Governatore, ha più volte ribadito questi concetti.



Certo, a voler considerare gli aspetti strutturali è evidente che ci vorranno anni per tornare ai livelli di sviluppo del 2007 (che poi non erano un granché), specie per un Paese come il nostro che cresce da un quindicennio meno degli altri. Ma tutto il commercio e l’economia mondiali hanno subito, tra la fine del 2008 ed i primi mesi dell’anno in corso, una forte riduzione del Pil. Il nuovo contesto, quindi, sarà caratterizzato dagli sforzi delle diverse economie di tornare al più presto agli standard pre-crisi (ed è su questa sfida che dovrà sapersi misurare la struttura produttiva e dei servizi dell’Italia). Ma di questo si tratta: dalla crisi i Paesi dovranno necessariamente uscire tutti insieme partendo dall’arretramento che la crisi finanziaria ha determinato nell’economia reale. Ma tale situazione non significa necessariamente declino generale ed inarrestabile. Valga per tutti l’esempio del comprensorio delle ceramiche di Sassuolo: nel complesso la produzione si è fortemente ridotta, ma quel “sistema” ha guadagnato quote di mercato a livello internazionale. Strano Paese l’Italia! Il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, presenta un andamento lusinghiero dei conti del suo Istituto per il 2009, l’anno in cui il sistema degli ammortizzatori sociali è stato devastato dalla crisi. A prova del fatto che le risorse erano state destinate e sono state utilmente impiegate, Mastrapasqua dichiara persino che erano «sovrabbondanti».



Certo, ora dobbiamo aspettarci il cosiddetto dimensionamento della struttura produttiva delle aziende. In sostanze, le imprese dovranno cominciare a trarre dei bilanci sugli effetti della crisi e, se vorranno ripartire senza esiziali gravami, saranno costrette ad adeguare gli organici alle nuove dimensioni produttive e di mercato. Ma, come ha dichiarato la presidente Marcegaglia, non sarà una catastrofe. Il sistema sarà in grado di fronteggiare alcune decine di migliaia di esuberi, non solo con l’intervento delle tutele sociali, ma anche promuovendo politiche attive del lavoro, perché, insieme ai licenziamenti, vi saranno anche delle assunzioni. Chi avesse dei dubbi dovrebbe leggere il bel servizio da Cernobbio di Dario Di Vico sul Corriere della Sera, dove si dava conto degli esiti – equilibrati e sereni per quanto riguarda le prospettive – di un questionario distribuito al Seminario Ambrosetti tra gli imprenditori partecipanti.



Ma poi, guardiamoci attorno: dove sta la crisi? Abbiamo alle spalle un stagione estiva che è stata una miniera d’oro per il turismo: anche dove si sono verificati dei cali la loro entità non è stata certo testimone di una società che non è più in grado – ormai da anni – di sbarcare il lunario, dopo la terza settimana del mese. Persino il bonus per la rottamazione delle auto ha funzionato. Come si spiega che, in un periodo di crisi accentuata, le famiglie abbiano investito, mediamente, 15mila euro per cambiare l’auto invece che risparmiare? La Confartigianato ha pubblicato uno studio nel quale denuncia un fabbisogno di manodopera qualificata per centomila unità e lamenta di riuscire a trovarne solo 70mila. La situazione, dunque, non può essere ricondotta e spiegata con un unico grande grido di dolore.