E’ Berlusconi oppure la sua demonizzazione a rappresentare l’”anomalia” italiana che sbarra la strada ad un ragionevole accordo tra maggioranza ed opposizione per riforme istituzionali? Ovvero: è possibile votare qualcosa di giusto insieme al Cavaliere? Domani sapremo se la strada di una larga intesa su riforme istituzionali è davvero percorribile. Il “verdetto” trasparirà da quel che diranno in proposito Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini e Luciano Violante alla tavola rotonda che si svolgerà a Montecitorio dedicata appunto alla “evoluzione degli strumenti della legislazione”.



Presidente ed ex Presidenti della Camera hanno concordato questa discesa in campo che ufficializza l’asse trasversale decisivo per una larga intesa. Si comincerà quindi a capire se tale asse exAn-Pd-Udc ritenga percorribile nell’immediato un iter di riforme o se invece preferisca presentarsi come un triunvirato di “rifondazione” della Seconda Repubblica in un quadro post-berlusconiano. Anche se i discorsi non saranno ovviamente espliciti la direzione di marcia sarà comunque facilmente decifrabile: dipende in particolare da quel che dirà Luciano Violante che attualmente è il “portavoce” di D’Alema in materia.



Si tratta cioè di verificare se il Pd di D’Alema e Bersani sia in grado di fare accordi – pur limitati al campo istituzionale – indipendentemente da Di Pietro. Si vedrà in che misura Violante sarà in grado di prendere le distanze dal dipietrismo e dall’antiberlusconismo “psicolabile”. Ad incoraggiarlo in questa direzione c’è innanzitutto il Capo dello Stato. Nel discorso di fine anno Giorgio Napolitano è apparso molto determinato e per nulla defilato. Egli ha detto chiaro e tondo che il Paese non è allo sbando e che il governo Berlusconi ha ben agito di fronte alla crisi economica con riferimenti positivi a misure di governo e all’azione di singoli ministri come la Gelmini a proposito della rivalutazione del “merito” nell’insegnamento.



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Lo ha fatto senza però mancare di lanciare anche messaggi critici alla maggioranza esortando a maggior “sobrietà” Berlusconi e intimando un arresto alla deriva xenofoba da parte della Lega. Ma un segnale lo ha dato anche alla sinistra facendo capire in sostanza che con Berlusconi si deve convivere e che bisogna rompere non tanto con la sinistra antagonista che può rispecchiare disagi reali, ma – nelle parole di solidarietà al premier aggredito – con l’antiberlusconismo pregiudiziale e violento e cioè, in concreto, con Di Pietro.

 

A esplicitare l’esortazione nei giorni successivi è stato in particolare Paolo Franchi, editorialista del “Corriere della sera” notoriamente in sintonia con le preoccupazioni del Quirinale. Franchi ha appunto sottolineato che rispetto all’estremismo proveniente dall’Idv sarebbe necessaria «l’apertura di una battaglia politica e culturale ben più profonda e appassionata di quella condotta sinora (… ) per chi le riforme le vuole davvero».

 

Vedremo quindi domani se Luciano Violante – ovvero il Pd di D’Alema e Bersani – può svincolarsi da Di Pietro. Finora Violante è stato aperto, ma “volando alto”. Ora non può sfuggire alla chiarezza: Violante è in grado di attaccare Di Pietro che attacca Napolitano? Le difficoltà esistono e non sono solo personali. La situazione nel partito per il vertice del Pd non è facile. Persino Piero Fassino che è uno dei leader che si è maggiormente impegnato per una politica “riformista” e non meramente antiberlusconiana è oggi schierato a difesa del “legame di ferro” con Di Pietro.

 

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 Il Pd sembra ancora un conglomerato non ben governabile se un’europarlamentare, Debora Serracchiani, dichiara che vorrebbe “regalare” a Berlusconi convalescente una statuetta della Mole Antonelliana, non differenziandosi da De Magistris che vorrebbe spedire il premier in esilio alle Cayman. Bersani e D’Alema debbono infatti fare i conti con il dipietrismo interno e debbono tener conto di una aggressiva concorrenza elettorale da parte dell’Idv. D’altra parte, dovrebbero però anche temere una seria frana elettorale sulla destra se non vanno nella direzione auspicata da Napolitano.

 

Il fatto che, dopo l’uscita di Rutelli, Bersani si sia piegato alla candidatura della Bonino in Lazio significa che anziché puntellare il “fronte cattolico” preferisca abbandonarlo al suo destino. Nell’”indecisionismo” di Bersani c’è la sottovalutazione del pericolo che in elezioni amministrative che sono politicizzate, ma non politiche, una parte di elettori di sinistra – infastiditi dalla greve ombra di un Di Pietro che, tutto sommato è sì antiberlusconiano, ma pur sempre un personaggio estraneo alla storia e alle idee della sinistra italiana e sempre su posizioni estremiste e mai propositive – si dissoci da un’alleanza organica Pd-Idv e senza passare al centro-destra preferisca astenersi.

 

L’ ”indecisionismo” Pd di questi mesi sta dando vita già al fenomeno di uno scivolamento di intellettualità riformiste su posizioni “terziste”. Ne è lo specchio il “Corriere della sera” che si differenzia dal chiassoso antagonismo militante di “Repubblica” dando spazio a riflessioni “riformiste” che criticando Berlusconi non si schierano però a sinistra. Come diceva in passato Giorgio Napolitano a proposito del Pci, anche il Pd oggi rischia di finire impantanato “a metà del guado”.