Dopo il vertice di maggioranza di ieri, Berlusconi ha deciso di accelerare l’iter del processo breve e del legittimo impedimento. Parte da qui dunque la riforma della giustizia targata Pdl. Non si è fatta attendere la risposta del Pd, per voce del responsabile riforme del partito, Luciano Violante: no a leggi-privilegio. «Noi chiediamo subito una riforma costituzionale – ha detto Violante in occasione di un convegno – e in questo quadro si può discutere seriamente un nuovo rapporto tra politica e giustizia». E se la maggioranza volesse fare da sola la riforma costituzionale, ad aspettarla ci sarebbe il referendum.  Ilsussidiario.net ha parlato delle ultime novità in tema di riforme con l’ex presidente della Camera.



Lei anche ieri è stato perentorio: «no a leggi privilegio». Se la maggioranza si aspettava un’apertura, è rimasta delusa. Qual è la vostra critica principale?

La maggioranza ha creato un groviglio inestricabile. Il processo breve dovrebbe rendere breve il processo, mentre il legittimo impedimento lo allunga, perché lo sospende per un anno, un anno e mezzo. È solo una delle tante contraddizioni.



La vostra obiezione non riguarda dunque solo il fatto che la formula si applichi ai processi pendenti?

Non è solo quello. A parte la confusione tra testo presentato in prima istanza, testo approvato dalla commissione ed emendamenti dell’ultimo momento che cambiano tutto, nel frattempo alla Camera si va avanti con il legittimo impedimento e non si capisce bene che relazione c’è, perché entrambe le proposte si applicano agli stessi processi. Quale prevale? Mi pare un segno di affanno e, lo dico con rispetto, di improvvisazione.

E nel merito?

Non siamo d’accordo che il cosiddetto processo breve si applichi ai processi in corso, perché vuol dire uccidere migliaia di processi e lasciare senza tutela migliaia di vittime del reato. Non si possono cambiare in corsa le regole di un processo cominciato con altre regole. Lo stesso vale per il legittimo impedimento: non si può fare una legge privilegio per garantire una sola persona, chiunque essa sia.



Ma allora è possibile che il Pd voti qualcosa con Berlusconi o no?

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Certo. Lo abbiamo già fatto con il federalismo fiscale e con la legge di contabilità. Quando diciamo che noi vogliamo fare una vera riforma del sistema politico, giustizia compresa, intendiamo ribadire che il Parlamento serve per discutere con gli avversari e fare le leggi. Né Berlusconi ha scelto noi come avversari, né noi abbiamo scelto lui. È il popolo a decidere chi è avversario di chi. Per questo abbiamo detto molto chiaramente che se il governo intende fare una legge costituzionale sulla giustizia fuori del contesto generale, noi non la votiamo e chiediamo il referendum. E siamo sicuri di vincerlo, come è stato per quello del 2001.

 

Lei ieri ha partecipato con Casini e Fini al convegno della Camera Il Parlamento e l’evoluzione degli strumenti della legislazione. Si direbbe che c’erano i tre esponenti che possono più autorevolmente gettare le basi di un dopo Berlusconi.

 

Non è questo il punto. C’erano il presidente attuale e gli ultimi due presidenti della Camera per discutere di funzionamento del Parlamento. E quindi di governabilità.

 

Anche la governabilità è un obiettivo delle riforme. «La funzione di governo – ha dichiarato Fini – non si traduce automaticamente in una agenda legislativa a senso unico». Il governo però non nasce più dall’intesa dei partiti in Parlamento, ma dalla volontà espressa dagli elettori. Leghiamo le mani al governo?

 

Il governo deve avere tempi certi, e l’ho ribadito anche l’altro ieri, per il voto sui provvedimenti che riguardano il programma presentato agli elettori. Questo è un dato ineliminabile in democrazia. Ma il Parlamento deve avere anche seri poteri di controllo sull’attività del governo. Oggi non c’è né una cosa né l’altra. Il governo non ha tempi certi al di fuori dei decreti legge e questo fa sì che essi siano ormai l’unico modo per governare.

 

Davvero secondo lei la situazione è così grave?

 

Sì, se le ordinanze della Protezione civile stanno sostituendo il ruolo della legislazione. Siamo alla distorsione completa del sistema delle fonti del diritto. Aggiunga che l’attuale legge elettorale ha svuotato il Parlamento della sua funzione di potere unitario dello stato. Sono le oligarchie dei partiti a decidere chi fa il deputato o il senatore e chi no. Questo sistema ha rotto il rapporto di rappresentanza tra Parlamento e società italiana.

 

È in questo scenario che si collocano le riforme?

 

 

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Siamo di fatto passati da un sistema a tre poteri a un sistema a due: governo e magistratura. Ma poiché sono due poteri, o c’è la diarchia o c’è lo scontro. Ecco perché abbiamo difficoltà a gestire il problema della giustizia: manca un soggetto terzo dello Stato effettivamente rappresentante dei bisogni e delle esigenze generali del paese. Ora nessuno fa questo, perchè il governo rappresenta la maggioranza e non il paese.

 

Il rapporto tra la Camera e un Senato federale, così come è concepito nella Bozza Violante, non pone più problemi di quelli che risolve? Lei lo escludeva anche dal rapporto fiduciario con il governo.

 

La ringrazio della domanda. È vero, il modo di costruzione dei poteri del Senato è un punto debole della bozza che porta il mio nome. Ma resto convinto che alla Camera spetti la rappresentanza generale della nazione, e che al Senato il governo dei rapporti stato regioni.

 

Di Pietro rappresenta un forte condizionamento per il Pd e sembra ridurne notevolmente i margini di manovra e di iniziativa politica. È così?

 

In tutte le coalizioni c’è un problema: il centrodestra ha i suoi e noi abbiamo i nostri. Io personalmente non mi ritrovo in moltissime delle posizioni di Di Pietro. Sta di fatto che Di Pietro è una forza dell’opposizione, e spetta al maggior partito di opposizione di costruire un rapporto costruttivo con l’Idv. Anche se devo riconoscere che è una cosa abbastanza complicata.

 

La regione Puglia può rappresentare davvero il laboratorio politico per il nuovo centrosinistra allargato all’Udc, e senza posizioni estreme alla Vendola?

 

Non mi pare che Vendola lo si possa definire su posizioni estreme, anzi mi pare che abbia governato bene. Si può essere più o meno d’accordo sulla nuova coalizione che si sta facendo, nella quale ci sarebbero tanto Di Pietro quanto l’Udc. Ma sono cose regionali che non vanno esagerate a livello nazionale. Non c’è una strategia nazionale, perché l’Udc da qualche parte va con il centrodestra, da qualche altra parte con il centrosinistra e da altre parti va da sola.

 

Come giudica la proposta di Calderoli per una Convenzione per agevolare il cammino delle riforme  senza che subiscano lo stop delle regionali?

 

 

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L’intento di sottrarre alla temperie dei conflitti politici quotidiani il processo riformatore è positivo, ma non so francamente quanto la proposta possa risolvere il problema: da quello che capisco ne farebbero parte i membri delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato e quindi è evidente che la temperie si introdurrebbe anche in quest’organo. Che può funzionare se è completamente separato e distinto dal Parlamento, presenta i suoi progetti e li modifica sulla base degli indirizzi del Parlamento. Ma il Parlamento non ha mai apprezzato l’elaborazione fatta da soggetti esterni. E non sarebbe l’unico nodo da sciogliere.

 

Quali altri problemi ci sarebbero?

 

La mia preoccupazione è che se si fa un’operazione così, il processo di riforma si estenda eccessivamente, mentre credo che debba valere un principio del minimo e non del possibile costituzionale. Un esempio del minimo costituzionale è la bozza che porta il mio nome, l’esempio del possibile costituzionale è la riforma che fece il centrodestra nella XIV legislatura.

 

Riforma poi bocciata dal referendum.

 

Infatti. Sono convinto che occorra tenersi sull’asse del minimo costituzionale, perché le Costituzioni sono documenti essenziali. Se diventano codici, non funzionano più.

 

Il suo auspicio?

 

Che si mettano da parte queste rincorse affannose di proposte, emendamenti che cambiano tutto, processi brevi, impedimenti, e si faccia un discorso serio e ragionevole sulle riforme costituzionali che servono al paese. In tal caso Berlusconi ci trova perfettamente disponibili.

 

(Federico Ferraù)