Anno nuovo riforme nuove? Sul destino politico dell’Italia si incrociano le vie delle riforme economiche e della giustizia e quelle istituzionali. Se l’anno appena terminato si era concluso con la baraonda dell’aggressione al premier Silvio Berlusconi in piazza Duomo, quello nuovo si è aperto con il messaggio del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e il suo auspicio di una nuova stagione. Non sarà facile. S’avvicina l’appuntamento delle elezioni regionali, e se a sinistra la nuova linea riformista inaugurata da Pierluigi Bersani trova resistenze nel “nemico interno” Antonio Di Pietro e nella minoranza del partito, a destra Berlusconi deve tener conto delle richieste di “collegialità” che gli arrivano dai finiani.
Tutti fattori che hanno fatto scrivere a Luca Ricolfi sulla Stampa che certamente questo 2010 può essere l’anno delle riforme, ma solo dopo l’appuntamento delle regionali. Solo allora si manifesterà una «irripetibile congiunzione astrale» che favorirà il dialogo politico in quanto, fino al 2013, non avremo più altri appuntamenti elettorali. Come sempre, tutto gravita intorno alla giustizia, vera pietra d’inciampo per un paese che da quindici anni si divide su un tema strettamente legato alle sorti del premier. A sinistra le chiamano «leggi ad personam», a destra «leggi ad libertatem».
Il risultato non è solo lo stallo del granitico mondo delle toghe ma, a cascata, anche di tutti gli altri, ridotti alla funzione satellitare rispetto al centro gravitazionale costituito dalla giustizia. Anche per uscire da questo stallo Enrico Morando, esponente liberal del Pd, ha lanciato sul Riformista un “pacchetto di proposte” di riforme costituzionali tutte di buon senso (che infatti sono state subito bollate come irricevibili da Dario Franceschini e Antonio Di Pietro). «Molti colleghi sia del Pd sia del Pdl la pensano come Ricolfi, ma sbagliano perché sei mesi a non fare nulla è solo tempo perso». Morando cerca di essere pragmatico: «Credo che Berlusconi sia disponibile, se valuta realisticamente la situazione in cui si trova, ad aprire immediatamente una stagione riformatrice, in cui si preveda anche l’immunità secondo il progetto di legge bipartisan preparato dai senatori Franca Chiaramonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl)».
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Il fatto che il guardasigilli Angelino Alfano abbia annunciato che il governo vuole accelerare i tempi della riforma costituzionale sulla giustizia e, parallelamente, proseguire l’iter delle leggi ordinarie del processo breve e del legittimo impedimento, non piace a Morando. «Chiedo: chi ci difenderà dal referendum che verrà certamente promosso? Ricordo a tutti che non c’è il problema del quorum. Quindi avremo nel 2010 un referendum su Berlusconi. Ne usciremo a pezzi».
«E’ davvero l’ora delle riforme costituzionali», spiega a Tempi il sociologo Luca Diotallevi che spera in una politica che sia finalmente capace di «cambiare il cappotto della costituzione al bambino italiano che è ormai cresciuto e non è più lo stesso del ’48. Un cappotto che ha funzionato benissimo fino a metà degli anni Settanta. Da allora diciamo che dobbiamo cambiarlo, perché non lo facciamo?».
Secondo Diotallevi, «lo ha chiesto il capo dello Stato, ma anche gli uomini di Chiesa lo hanno più volte ribadito. Certo, c’è una parte del ceto politico che si oppone a una revisione della Costituzione perché trae rendite importanti dall’attuale situazione politica. È una posizione legittima, tuttavia tali interessi sono contrari a quelli del Paese che ormai merita una democrazia che funzioni». Così la pensa anche il costituzionalista Luca Antonini secondo cui «viviamo in un paese che è in sofferenza da un punto di vista istituzionale. Il bicameralismo come quello italiano non esiste più in nessun paese al mondo».
La Lega Nord ha proposto di affrontare i temi delle riforme costituzionali attraverso un organismo super partes, una convenzione, e anche Antonini è favorevole a una “convenzione aperta al pluralismo”: «Serve un organismo che coinvolga le autonomie territoriali perché ci dobbiamo muovere dentro un contesto di tipo federale che dà maggior peso nazionale agli enti locali». Antonini spera in una convenzione che avvii un processo «condiviso, non di parte», che lavori «sulla seconda parte della Costituzione che è più urgente da aggiornare rispetto alla prima».
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Il ministro Renato Brunetta ha proposto la modifica dell’articolo 1, ma Antonini è contrario a modificare «la prima parte della Carta, quella dei principi che è frutto di un equilibrio faticosamente raggiunto. Certi aspetti sono discutibili, ma non ora». Mettiamoci d’accordo sull’economia. E se si invertisse l’ordine di importanza? Ancora Ricolfi ha scritto in un altro articolo sulla Stampa che «se da un punto di vista logico ha ragione chi dice che è meglio mettersi d’accordo sulle regole e poi litigare sui contenuti, da un punto di vista storico-pratico è vero l’inverso. Oggi è molto più facile mettersi d’accordo sui contenuti delle riforme economico-sociali che non sulle regole istituzionali. Dunque, prima le riforme economiche, poi quelle istituzionali. Non è un problema di tempi, ma di fattibilità».
Però, anche in questo caso, spiega a Tempi il professore ed economista Alberto Quadrio Curzio, servirebbe una Convenzione Costituente: «Non saprei dire quanto tempo una tale organo impiegherebbe per dare una risposta ai problemi italiani, certo è che negli ultimi vent’anni sono state fatte varie riforme fiscali, economiche e finanziarie e il quadro è ormai molto frammentato. La prima riforma fiscale da fare è la semplificazione perché, come diceva Einaudi, le imposte devono essere semplici e stabili».
Rispetto alla proposta di Berlusconi di due sole aliquote Irpef al 23 e al 33 per cento, Quadrio Curzio è cauto e invita a evitare «riforme parziali o semplici ritocchi. Siamo appena usciti da una crisi finanziaria e, sebbene sia giusto considerare dei possibili cambiamenti, bisogna stare molto attenti a come questi si attuano. Eviterei di fare riforme a tambur battente e terrei sempre un occhio rivolto ai conti pubblici». Quadrio Curzio invita, invece, a sfruttare «l’autostrada tracciata dal federalismo fiscale. Credo che vada ripensata la struttura della nostra fiscalità a partire da questo presupposto che va a valorizzare in modo significativo la fiscalità regionale».
Come il ministro Tremonti anche Quadrio Curzio si attende molto dalla «fiscalità regionale che ci consentirà un considerevole recupero dell’evasione, grazie a una capacità di controllo più ravvicinata da parte degli enti locali». Recupero in cui crede molto anche Antonini perché «col federalismo fiscale si obbligano gli enti locali a essere responsabili rispetto alle loro scelte di spesa. Non si potranno più addebitare sprechi e inadempienze allo Stato, ma si sarà costretti a rispondere ai cittadini di quel che si fa sul territorio».
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– Che i prossimi mesi aprano a una stagione «riformatrice dalla A alla Z» è un’eventualità in cui crede Morando, «anche se le parole di Alfano e l’idea del Pdl di proseguire sul processo breve e sul legittimo impedimento non sono di buon auspicio. Non si può procedere solo sull’immunità della proposta Chiaramonte-Compagna e glissare sul resto». Si ritorna alla casella di partenza, insomma. Al problema della giustizia, come se questo, da una parte e dall’altra, fosse la conditio sine qua non si possano o non possano aprire stagioni di dialogo.
«Ma anche il dialogo – annota Diotallevi – non deve diventare una scusa. Il paese ha urgenza di cambiare forma di governo con l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, di distinguere tra pm e giudici, di migliorare la pubblica amministrazione. I numeri ci sono, serve coraggio». In questo senso «Berlusconi ha il massimo del merito perché ha il coraggio di porre i problemi, ma anche il massimo del demerito perché forse non fa tutto quello che dovrebbe. Berlusconi deve cogliere le possibilità che questa particolare contingenza storica gli fornisce e poiché può, deve».
Il fatto che il Pd attraversi un periodo d’affanno «è un’occasione per il premier per fare quelle riforme che lo proietterebbero nella storia, ma anche una disdetta perché, anche se vi rinunciasse, sarebbe comunque certo di continuare a governare per mancanza d’alternativa». Quindi, spiega il sociologo, bando a facili scorciatoie e alla ricerca di un largo consenso «che, se c’è, è meglio. Tuttavia non essere soddisfatti di avere la maggioranza del pase significa non portare rispetto agli elettori che ti hanno scelto. Non si ha solo il diritto, ma anche il dovere di governare».
(Emanuele Boffi)