Dopo l’attentato di Natale, la tregua di Capodanno e la nascita del “partito dell’amore”, al rientro da tutte queste belle festività e variazioni sul tema che affligge l’Italia da ben tre lustri, che cosa si può rimproverare al governo Berlusconi nelle sue prime mosse in materia di giustizia?

Forse, come ha detto a ilsussidiario.net Luciano Violante (che pure onorevole non è più e non risulta più ricoprire il ruolo di portavoce politico delle “toghe rosse”), che c’è una grossa contraddizione tra “decreto breve” e “processo breve”, riforma della giustizia e amnistia generale.



E lasciando da parte l’Idv (che sull’invasione barbarica dell’ordine giudiziario in ogni piega della società fonda la sua ragione politica e perciò non collaborerà a nessuna riforma) cosa si può rimproverare all’opposizione democratica che pure ha mostrato apertura (vedi le proposte di legge Chiaromonte e Morando per il ripristino dell’immunità parlamentare) verso le fatidiche riforme?



Forse che, come si potrebbe facilmente verificare bussando alle porte dalemiane, non si può continuare a rinfacciare a Berlusconi il nodo che lo stesso Berlusconi ha sempre detto a chiare lettere di voler sciogliere. E cioè quello dei suoi processi e, quindi, di uno “scudo” che gli consenta non di evitarli, ma di rinviarli al giorno in cui non sarà più il premier eletto dagli italiani per governare.

Siamo in questa tenaglia: da una parte il nodo si aggroviglia con il bizantinismo di provvedimenti che per colpire un processo ne abbattono cento. Dall’altra con le ipocrisie e le orecchie da mercante di un’opposizione che finge di non potersi rassegnare all’evidenza che disponibilità a trattare “riforme condivise” significa accettare la condizione di realtà posta dalle pendenze penali e dall’inseguimento giudiziario al Cavaliere di Arcore.



Che fare? Il governo pare che non abbia alcuna intenzione di mollare: se non si trova un accordo sul nucleo caldo (lo scudo al premier) il nodo sarà sciolto in maniera unilaterale col metodo della famosa foglia in un bosco. Insieme a migliaia di altri procedimenti, con il processo breve finiranno nel falò il caso Mills e il processo Mediaset.

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Se invece l’accordo si trova – vuoi con una legge sull’immunità, vuoi con una rivisitazione tecnicamente più raffinata del Lodo Alfano – si ritorna diritti al normale confronto parlamentare. E questa volta può davvero succedere che, come la bella e bipartisan mossa sulle carceri, esca una riforma della giustizia.

 

D’altronde, se come ha qui ammesso Luciano Violante, e cioè che in Italia «siamo di fatto passati da un sistema a tre poteri a un sistema a due: governo e magistratura. Ma poiché sono due poteri, o c’è la diarchia o c’è lo scontro», ci deve pure essere un’iniziativa per uscire da questa impasse e per fare in modo che le elezioni regionali non siano l’ennesima ripetizione del solito duello rusticano.

 

Ora, giacché la storia insegna che da quando le elezioni si giocano in termini di referendum pro o contro Berlusconi, solo lui e gli arruffapopoli dipietristi finiscono col guadagnare voti, la sinistra avrebbe imparato la lezione se accettasse un compromesso di realpolitik sulle pendenze giudiziarie del Cavaliere.

 

Dopo di che, oltre che di tagli e posti vacanti negli uffici giudiziari, si potrebbe iniziare a discutere seriamente di come ristabilire la centralità del Parlamento e l’equilibrio dei poteri devastato da quindici anni di “guerra” (lo ha ammesso perfino il segretario dell’Anm) tra magistratura e politica.