Quando si sta insieme all’opposizione, sostiene Massimo D’Alema a proposito della Puglia e del rapporto con l’Udc, dopo qualche tempo si diventa anche un po’ amici. Magari abbastanza amici da trovare un’intesa elettorale per la Regione che, in caso di vittoria, avrebbe un evidente valore nazionale.  Sempre che, si capisce, non si metta di mezzo il governatore uscente che, di fronte al veto dell’Udc sul suo nome prontamente accolto dalla maggioranza del Pd pugliese, non ha alcuna intenzione di farsi cortesemente da parte per consentire alla neonata amicizia di sbocciare appieno e non rinuncia alla sua seconda corsa.



Allora il suddetto governatore, da promessa, anzi, astro nascente che era, diventa nel peggiore dei casi un satrapo, nel migliore un autolesionista. Comunque un aspirante leader nazionale di un centrosinistra di tipo nuovo che ha fallito perché non è stato in grado di indicare lui un successore capace di tenere insieme l’alleanza, dimostrando così di non essere all’altezza delle sue stesse ambizioni. Peggio. Di non conoscere l’abc di quella politica di cui, invece, D’Alema è a giudizio pressoché universale il professionista per eccellenza.



Satrapo, autolesionista, aspirante leader fallito, o qualsiasi altra cosa sia, Nichi Vendola a sacrificarsi in nome dell’amicizia tra D’Alema e Casini non ci ha pensato per un attimo. Voleva le primarie (a cui, beninteso, almeno ufficialmente non parteciperanno gli elettori dell’Udc), e le primarie avrà, anche se il Pd di Bersani questo istituto, che nella breve età veltroniana  è stato una specie di totem, non lo apprezza più di tanto. E si ritroverà come avversario non il sindaco di Bari, Michele Emiliano, che dopo qualche tergiversare ha lasciato il Pd e D’Alema con il cerino acceso in mano, ma Francesco Boccia. Lo stesso Boccia che, contro ogni previsione, nelle primarie di cinque anni fa (ma allora si trattava di primarie di coalizione) aveva sonoramente battuto.



Come andrà, lo sapremo domenica sera, al termine di una campagna elettorale breve sì, ma rovente e affollata di colpi bassi come raramente si è visto.
Alcune cose, però, comunque vada a finire, sono chiare già adesso. La prima, e sul piano nazionale la più importante, è che in questa partita, condotta da tutte le parti  in campo come peggio difficilmente si può, D’Alema si gioca, se non proprio tutto, moltissimo. Anche e soprattutto perché queste primarie non sono soltanto una contesa tra il candidato Vendola e il candidato Boccia: sono diventate, con il suo sempre più attivo concorso, una specie di referendum su di lui.

Se uscisse seppure in extremis vincitore (anche se i vincitori e gli sconfitti veri li conosceremo solo dopo le elezioni regionali di fine marzo), non vorrebbe dire solo che la posizione in Puglia del già “deputato di Gallipoli” resta fortissima, ma anche che l’intesa (pugliese e nazionale) con Casini ha superato la prima, durissima prova del fuoco, e, Casini permettendo, potrebbe avere anche un futuro: addio “vocazione maggioritaria”, addio autosufficienza di veltroniana memoria, avanti con la strategia delle alleanze e la politica di coalizione.

Se uscisse sconfitto, sarebbe un disastro. Non solo pugliese, ma nazionale. La prova che il politico che si vanta di “non aver mai perso un’elezione” (dimenticando le regionali del 2000, il cui esito disastroso per il centrosinistra lo indusse a dimettersi da presidente del Consiglio) non riesce più a vincere nemmeno a casa sua, nonostante alla guida del partito ci sia un uomo storicamente a lui vicino come Pier Luigi Bersani.

La testimonianza che la maggioranza dell’elettorato attivo del Pd, quello che partecipa alle primarie, forse non è avverso in via di principio alla prospettiva di un allargamento delle alleanze, ma in ogni caso non è disposto a perseguirla a qualsiasi condizione. E la conferma che il Pd fatica oltremodo (ancora una volta: non solo in Puglia) a trovare un baricentro politico, un’identità, una rotta. Senza i quali una politica di alleanze è molto difficile. Per non dire impossibile.