Nichi Vendola, presidente uscente della Regione Puglia, ha vinto le primarie del centrosinistra con un risultato schiacciante. Il 73% dei votanti lo ha preferito a Francesco Boccia, il candidato del Partito Democratico per il quale si era speso in prima persona Massimo D’Alema. Salta così l’accordo tra il Pd e l’Udc e il cosiddetto “laboratorio politico” pugliese che avrebbe dovuto allargare i confini del centrosinistra.
Peppino Caldarola, giornalista (già direttore de L’Unità) ed ex deputato dei Ds analizza per ilsussidiario.net le conseguenze politiche del voto di ieri.
Si aspettava la vittoria di Vendola?
La sua vittoria era abbastanza scontata, anche se non con queste proporzioni sorprendenti. In Puglia ci troviamo davanti a un vero e proprio “fenomeno Vendola” che si è dimostrato rilevante e radicato sul territorio.
Se la sua vittoria era prevedibile perché D’Alema si è esposto in prima persona?
Probabilmente D’Alema sperava in un risultato diverso, ma la battaglia dal suo punto di vista era strategica. Il suo progetto prevede il superamento dell’attuale centrosinistra e l’alleanza organica con l’Udc. L’ipotesi Vendola, che è stata scelta, è invece quella di un centrosinistra guidato dalla sinistra radicale. C’era perciò una linea da affermare, la stessa che aveva portato Bersani alla segreteria.
Cosa non ha funzionato allora dal suo punto di vista?
Difficile vincere una sfida del genere se il partito si presenta profondamente spaccato. C’è poi da registrare il fallimento della classe dirigente dalemiana che per 20 anni ha guidato la sinistra in Puglia e la fronda di tutte le minoranze, quella interna e quella legata al sindaco di Bari, Michele Emiliano. Se Vendola ha stravinto a Bari, dove Emiliano ha una supremazia politica indiscussa significa che qualcosa non ha funzionato. Vendola ed Emiliano sono però due fenomeni di “berlusconismo rosso” da trattare separatamente.
Cosa intende?
Entrambi escono dagli schemi tradizionali della sinistra, riscuotono grande consenso e hanno molte delle caratteristiche del leader del centrodestra: populismo, eccessiva personalizzazione, rapporto diretto tra leader e popolo di riferimento, duttilità dei programmi. Il cavallo di battaglia di Vendola è stato ad esempio la difesa dell’Acquedotto Pugliese, un tema trasversale agli schieramenti. Sono leader che in pratica connotano di sé la loro linea politica e non si nutrono di un’immagine di programma.
Bersani era stato eletto segretario del Pd presentando un’idea “antica”, che andasse oltre il partito liquido alla Veltroni. Sembra però che sotto il vecchio partito liquido non sia rimasto nulla se i vecchi apparati fanno cilecca.
Sotto il partito liquido c’è un fenomeno che pre-esisteva al Pd, anche se non con queste dimensioni: la proliferazione dei partiti personali. Non più gli apparati tradizionali che trasmettevano una linea generale, quanto quelli che fanno capo a leader locali. Tutto ciò però è l’opposto del partito radicato e alla fine non è altro che la continuazione del partito liquido, che come tale non esiste in natura, nemmeno negli Usa.
Per ora possiamo dire che i partiti personali e trasversali hanno avuto la meglio sul segretario, mentre per quanto riguarda le primarie bisognerebbe evitare eccessiva retorica.
In che senso?
Il risultato delle primarie è dato in parte dal desiderio spontaneo dell’opinione pubblica di esprimersi, di scegliere, ma anche dal lavoro degli apparati stessi di cui stiamo parlando. Non credo alla divisione vendoliana tra voto popolare e voto degli apparati: il caso di Bari e gli apparati vendoliani lo dimostrano.
Tornando a Bersani: sembra in difficoltà anche nelle altre regioni, incalzato da una minoranza interna sempre più agguerrita…
La sua figura è sicuramente appannata. Se D’Alema è umiliato ed esaltato allo stesso tempo, perché questa pesante sconfitta ne esalta comunque il ruolo, Bersani si dimostra assente, distante dalla scena, in Puglia come negli altri fronti importanti. Il dramma di Bersani è quello di non riuscire a esercitare una leadership, pur avendo una linea strategica condivisa dalla maggioranza del partito.
Il problema del Pd però va affrontato seriamente e non riguarda solo Bersani e D’Alema. La domanda da porre è se questo partito esista o meno, visto che accetta di consegnarsi a Vendola in Puglia e alla Bonino nel Lazio e sembra collassare davanti ad ogni sconfitta.
A che risultato va incontro il Pd alle regionali
Non sono convinto che sarà una debacle. Manterrà le regioni rosse, puntando anche a Marche e Liguria. Dopodiché la battaglia si giocherà nelle regioni chiave: Piemonte, Puglia e Lazio.
Se il Lazio è dato per perso in Puglia potrebbe farcela perché Rocco Palese non è il miglior candidato per il Pdl. In Piemonte poi la sfida è aperta.
Dopo il 29 marzo, comunque, oltre al conto delle regioni sarà bene valutare l’avanzamento o l’arretramento rispetto agli alleati.
Il cosiddetto “laboratorio” è da considerarsi fallito?
Dipenderà dall’Udc e dalle prossime scelte di Casini. Quel modello di centrosinistra allargato a guida riformista per ora non ha visto la luce e il modello opposto che è passato in Puglia è difficilmente esportabile a livello nazionale.
Il voto di ieri può anche essere letto come una riaffermazione del bipolarismo e il rifiuto delle alleanze variabili del partito di Casini?
Sicuramente è un voto che rinforza il bipolarismo polarizzato, in cui i popoli si separano e non dialogano. Probabilmente però il Paese ha bisogno di un bipolarismo diverso, più mite, nel quale ci sia scambio e confronto.
A proposito di confronto, ieri il card. Angelo Bagnasco ha lanciato un appello affinché la politica centri l’obiettivo delle riforme e ha auspicato il suo "disarmo". Archiviate le regionali la politica secondo lei saprà rispondere positivamente a questo invito?
L’appello del Cardinale è molto opportuno e cade in un momento delicato. È un appello alla smilitarizzazione per mettere fine alla contrapposizione frontale che, come abbiamo visto, può sfociare in episodi sgradevoli. Ed è anche un richiamo concreto alla responsabilità della politica affinché abbandoni le risse intestine e si concentri sulle riforme.
La classe politica deve decidere se seguire appelli come questo e come quello di Napolitano. A noi non resta che alimentare le forze morali che lavorano in questo senso, non abbandonando mai la speranza che questo accada.