Al termine del terzo mandato, il modello lombardo di riforma della pubblica amministrazione si presenta nuovamente al giudizio degli elettori. Dopo quindici anni segnati da una riconosciuta capacità di innovazione politica ed istituzionale, quali sono le grandi sfide che si porranno nella prossima legislatura? Ci sembra di poterne ravvisare almeno due di capitale importanza.
La prima, più interna, è la necessità di spingere fino in fondo il processo di istituzionalizzazione della sussidiarietà, avviato dalla Giunta Formigoni nell’ormai lontano 1995. Lo spostamento di centralità dall’istituzione ai soggetti (persona, famiglia, associazioni, imprese), su cui fa perno l’intero sistema, ha bisogno di una configurazione ancora più innovativa dello spazio pubblico, per evitare che la sussidiarietà scivoli, per inerzia, verso un modello di mercato puro. Ancora di più dovrà dunque essere stimolato il protagonismo della società a tutti i livelli, modellando l’intero sistema (compresi gli enti locali) sui bisogni e sui percorsi delle persone. In questo senso la strada dell’integrazione delle politiche e dei livelli amministrativi appare in molti casi ancora da perfezionare.
La seconda sfida, strettamente incidente sulle possibilità di successo della prima, ha a che fare invece con la capacità che il metodo della sussidiarietà possa imporsi come criterio guida per il cambiamento del Paese. L’impressione di una Lombardia “bella e impossibile”, governata con un notevole consenso interno e apprezzata anche da studiosi internazionali di politiche pubbliche, ma sotterraneamente combattuta da un rimontante statalismo italico, è qualcosa di più di un’ipotesi. L’esperienza lombarda dice all’Italia che il federalismo può essere l’inizio di una storia di libertà per l’Italia solo se coniugato con il principio di sussidiarietà orizzontale. Altrimenti si trasformerà nell’avvento di un potere che, avvicinandosi ai cittadini, aumenterà anche la capacità dello Stato di metterli sotto controllo.
Su queste due sfide si giocherà la possibilità che il modello lombardo possa continuare ad essere elemento di cambiamento per il Paese. Un modello che, all’avvicinarsi della scadenza elettorale, si è sottoposto ad un impegnativo “check up”, chiamando a raccolta gli oltre 250 tra studiosi e personalità del mondo economico, sociale culturale che hanno contribuito alla realizzazione di un impegnativo Rapporto di Legislatura, presentato dall’IReR.
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La sua portata non può essere riduttivamente ricondotta alle necessità comunicative di una campagna elettorale. Ci troviamo di fronte, al contrario, a uno sforzo non episodico (c’è già il precedente del 2000) di rendicontare su base scientifica il lavoro svolto dalla Giunta regionale nel corso del suo mandato. Sottoponendo in questo modo le scelte politiche effettuate ad una valutazione seria e non strumentale da parte della comunità.
Il metodo appare innovativo ed è stato reso per certi versi necessario dal forte carattere riformista che anche la terza legislatura Formigoni ha provato ad interpretare. Viviamo infatti in un Paese in cui, come noto, la valutazione delle politiche pubbliche è ancora un fenomeno scarsamente diffuso e ancor meno “digerito” dalla politica. Valutare significa infatti da un lato verificare la coerenza delle politiche effettivamente sviluppate con gli orientamenti di partenza, e soprattutto comprendere i risultati effettivamente raggiunti in termini di efficacia nella risposta ai bisogni e di efficienza amministrativa. Su entrambi i fronti l’esperienza lombarda ha una forte necessità di un riconoscimento sempre più esplicito, per dimostrare con la forza dei fatti la correttezza delle ipotesi culturali e politiche che ne stanno all’origine.
Quel che emerge dal complesso lavoro di costruzione del Rapporto è il grado di condivisione sempre più ampio di un metodo, quello della sussidiarietà, che la Lombardia ha in questi quindici anni imposto all’attenzione dell’intera comunità nazionale. L’applicazione del principio di sussidiarietà, avvenuto inizialmente nei settori “caldi” dei servizi alla persona (sanità, politiche sociali, formazione, istruzione, lavoro), comincia a diventare una prassi consolidata anche in altri settori, come ad esempio nelle politiche infrastrutturali o degli interventi a favore della piccola e media impresa.
La quarta legislatura formigoniana dovrà mostrare di avere mantenuta intatta questa capacità di innovazione istituzionale, affrontando le grandi sfide di cui si è detto, correggendo i propri inevitabili limiti e continuando a contrastare il rischio di un ripiegamento narcisistico sui successi ottenuti.