L’attività parlamentare sta per riprendere – neanche a dirlo – all’insegna del dibattito sulla giustizia. Sia i provvedimenti sul legittimo impedimento (Lodo Alfano costituzionale), sia il processo-breve sono calendarizzati. Il primo alla Camera e il secondo a palazzo Madama.
Ciò che non ancora chiaro (considerato che già in abbrivio del 2009 il ministro Alfano aveva preannunciato una riforma della giustizia) se si perderà un altro anno a rincorrere pannicelli caldi o se finalmente esiste davvero, nella testa di chi governa e sul tavolo della politica, un quadro di riforma complessiva, ampia, condivisa.
Chiaro che i dipietristi si attesteranno su una opposizione a oltranza a qualunque provvedimento garantisca il rinvio dei processi a carico dell’attuale Presidente del Consiglio. Chiaro che i legulei che campano e campano bene – sugli scranni parlamentari, nelle televisioni, nei giornali specializzati in manette e in una vasta produzione libraria fatta di copia-incolla degli atti dei tribunali, faranno le barricate.
Ma il governo possiede una tale maggioranza in Parlamento che sarebbe imperdonabile se anche quest’anno sprecasse la sua attività a inseguire i rivoli di mille polemiche e perdesse di nuovo l’occasione di riformare l’ordine giudiziario.
Sono quindici anni che il tema giustizia inchiodato alla figura di Silvio Berlusconi, ai suoi processi e alla presunzione che nulla, o quasi nulla, debba cambiare nell’amministrazione del potere giudiziario in Italia per non favorire il Caimano.
Il fatto che durante questi anni, accanto a personaggi che hanno fatto fortuna alle spalle della giustizia, la fiducia dei cittadini nella magistratura scesa ai minimi storici e l’ordinamento giudiziario stato scosso dalle fondamenta. Dall’ansia di protagonismo di alcuni magistrati, dal venir meno di regole e garanzie processuali, dal cortocircuito che si creato tra informazione e organi giudiziari.
I difensori dello status quo dicono che la condizione per qualsiasi riforma della giustizia sia il rispetto dell’attuale quadro di equilibrio dei poteri previsto dalla Costituzione. Equilibrio dei poteri?
Non c’è ordine giudiziario al mondo che goda di un’autonomia e di una indipendenza pari a quelle di cui gode la magistratura italiana. E non c’è paese al mondo in cui, come in Italia – grazie anche a un sistema dove l’organo costituzionale di autocontrollo dei magistrati sottoposto alle logiche corporative dei controllati i magistrati non rispondano dei loro eventuali errori e manchevolezze gravi.
Ciononostante si continua a rappresentare il pericolo di una sottomissione del potere giudiziario a quello politico. La realtà che si è squadernata davanti agli occhi degli italiani negli ultimi quindici anni documenta esattamente l’opposto.
Impugnando in maniera arbitraria la norma costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, si sono visti magistrati che si sono distinti per una discrezionalitàeccezionale. Prova ne è l’utilizzo disinvolto della carcerazione preventiva, l’uso delle intercettazioni e dei giornalisti amici per divulgare atti giudiziari, l’istruzione delle gogne mediatiche e dei processi televisivi.
Ma la legge non è uno strumento di lotta sociale, non è l’esercizio di un consenso, non è la ricerca di una giustizia sostanziale. Legge è rispetto delle norme, delle forme e delle procedure giuridiche. E inoltre è rispetto delle prerogative degli altri poteri, esecutivo e legislativo, che da anni si trovano invece sotto il costante attacco di inchieste, sentenze e iniziative giudiziarie tese a scardinare i principi fondanti ogni democrazia.
Il risultato di questa situazione è che, nonostante una maggioranza silenziosa di magistrati si sia applicata alle proprie funzioni con onestà e lontano dai protagonismi e dalle luci della ribalta, la giustizia italiana è caduta nel sospetto a causa di una minoranza che ha operato per procurarsi visibilità e carriere all’ombra della politica.
Oggi tutti concordano, a partire dal presidente Giorgio Napolitano, sulla necessità di intervenire sulla giustizia con una riforma che restituisca credibilità alla politica e piena fiducia nella magistratura.
Perciò, sarebbe davvero ora che governo e opposizioni democratiche si impegnassero ad archiviare la repubblica giudiziaria che abbiamo avuto in questi ultimi quindici anni e a far rientrare l’Italia nel novero dei paesi normali.
Paesi dove chi eletto governa, chi deve fare le leggi il Parlamento e chi deve limitarsi ad applicarle senza esprimere giudizi, controlli, veti e interferenze, si chiama ordine giudiziario.