Il decennale della morte di Craxi in esilio ci consente di riflettere sia sui temi di fondo che il leader socialista promosse, sia sui ritardi che proprio quei temi hanno subito e continuano a subire, al punto da suggerirci che le grandi riforme istituzionali sono tuttora in sofferenza, in attesa, per così dire: en attendendant… Godot. Oggi, ai tempi di Berlusconi, si attende la riforma presidenziale, esattamente come ai tempi di Bettino, che la lanciò ai primi degli Ottanta.



Ancora oggi, proprio come venti anni fa, ci si arrabatta intorno al bicameralismo perfetto senza trovare la cosiddetta quadra, mentre una qualche modifica della Costituzione e la riduzione del numero dei parlamentari continuano a essere di là da venire. Potremmo andare avanti a elencare ciò che non è stato fatto per realizzare quella che allora Craxi chiamava la “Grande riforma” delle istituzioni, ma si tratta di un esercizio abbastanza sterile. Che tuttavia ci impone un’altra, pressante domanda: perchè questi ritardi? Personalmente, ritengo che una risposta generale sia riferibile alla endemica, incrostata, irriducibile e insuperabile non volontà di cambiamenti all’interno dell’establishment italiano, sia esso economico, culturale e pure politico.



Lo status quo piace a molti, a troppi, da tempi immemorabili. E’ così vero questo, che si continua, oggi come ieri, a demonizzare chiunque abbia l’intenzione di opporre a un simile spirito di conservazione il suo contrario, ovverosia la volontà di cambiare, innovare, modernizzare. Prendiamo il caso della Costituzione, che pure è stata cambiata nel titolo V da un governo di sinistra, ma si trattava di una modifica tutto sommato lieve. Ebbene, non appena l’attuale Presidente del Consiglio ha “osato” proporne delle modifiche di fondo, ecco alzarsi le grida più alte e le accuse più violente di attentato alla Costituzione.



Analoghe accuse toccarono a Craxi, anni fa. La nostra Costituzione, peraltro, contiene un articolo che ne prevede le modifiche più ardite, sia pure con procedure ad hoc. La vischiosità in cui si muove tutta la politica, nonostante le traumatiche riforme "imposte" dalla emergenza dei primi Novanta, rischia di ingessare di nuovo il Paese, esponendolo a rischi gravi. Infatti, il conflitto fra la legittimazione popolare, quella cioè ottenuta ripetutamente da Berlusconi in quindici anni, e quella di altri poteri come Presidenza della Repubblica, Magistratura ecc… è destinato ad aumentare se non interverrano nuovissime "vesti" costituzionali tese a ridefinire il ruolo di un Premier che, pure, è eletto col suo nome sulla scheda, rimanendo però senza i poteri effettivi di un’elezione diretta.

 

La conservazione dello status quo è dentro il sistema italiano. Viene da lontano l’opposizione a cambiare lo stato delle cose. Tant’è vero che Mussolini, che era Mussolini, ebbe a dire, sconsolato: «governare gli italiani non è difficile, non è impossibile: è inutile».