«L’inchiesta relativa alla compravendita dei diritti Mediaset è solo l’ultimo capitolo di una persecuzione che va avanti da anni e che, a mio parere, è paragonabile soltanto a quella subita da Craxi. È evidente, infatti, che la procura di Roma ha convocato il Presidente del Consiglio a dieci giorni dalla prescrizione con il solo scopo di rinviarla. In questo modo si tiene il premier sulla “graticola”, pur sapendo che il reato si prescriverà». Gaetano Pecorella, parlamentare Pdl, per anni avvocato difensore del premier, commenta così l’ultima notizia che ha riacceso lo scontro tra politica e magistratura.



Tempo fa lei aveva auspicato un “armistizio” tra politica e giustizia che sembra ancora lontano. Se alla magistratura rimprovera una deriva persecutoria, che colpe ha secondo lei la politica?

Di certo gli attacchi che hanno investito la magistratura, la quale, nel suo complesso, non merita di essere apostrofata con gli aggettivi che sono stati usati. C’è una magistratura d’assalto, di cui tutti abbiamo conosciuto gli obiettivi e le modalità e c’è una magistratura che lavora serenamente e che merita rispetto. È un’istituzione a cui dobbiamo la fine del terrorismo e i grandi risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata.



Il tema giustizia resta caldo e tiene alta la tensione all’interno della maggioranza. Fini, secondo i giornali, sarebbe addirittura pronto a passare all’appoggio esterno se dovesse arrivare sul tavolo del prossimo Consiglio dei Ministri una proposta di riforma “indigeribile” per i finiani. Quale accordo è realmente possibile tra Pdl e Fli?

Le riforme costituzionali proposte da Berlusconi alla Camera sono del tutto in linea con le idee del Popolo della Libertà e su quelle su cui è nata Forza Italia. La stessa Alleanza Nazionale ebbe a votare l’ordinamento giudiziario che aveva in embrione la separazione delle carriere attraverso l’obbligo di una scelta definitiva dopo i primi 5 anni di esercizio della funzione. Da questo passaggio deriverebbe quasi automaticamente la separazione in due Csm (o in due sezioni di un unico Csm). Per quanto riguarda poi la responsabilità dei giudici, credo che sia un’esigenza innegabile, perché è la sola categoria di professionisti che può sbagliare senza avere nessuna conseguenza seria, ad esempio sul piano del risarcimento del danno.



Le cose sembrano semplici se si parla di separazione delle carriere, si complicano quando si inizia a parlare di “processo breve”…

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È un’ipotesi che però è stata accantonata. Ci sono troppe difficoltà per poter mettere in campo una riforma che sconvolge l’idea stessa di giurisdizione. La giurisdizione, infatti, consiste nel rivolgersi al giudice e dal giudice avere una risposta in ordine alla domanda che gli è stata rivolta, civile o penale che sia. Il processo breve prevede che trascorso un certo tempo il giudice non debba rispondere nel merito. È un istituto estremamente criticabile, che si potrebbe introdurre solo in un sistema in cui la giustizia funziona.

Difficile in ogni caso quindi un accordo con i finiani?

Non solo, penso che sia difficilmente condivisibile dalla stessa Lega una norma che azzera tutti i processi sino a una certa data. È un partito che si è sempre opposto all’amnistia.

Si attende poi per dicembre la sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento…

La mia proposta è quella di modificare in parte il contenuto del legittimo impedimento, anticipando la Corte con una normativa più razionale di quella a sua tempo approvata. In questo modo la Corte Costituzionale non entrerebbe nel merito e si limiterebbe a rimettere gli atti al giudice. L’altra strada è quella di portare avanti il più rapidamente possibile il Lodo Costituzionale, dando consistenza alla natura transitoria della norma sul legittimo impedimento.

Il Lodo Costituzionale non comporta però tempi troppo lunghi?

È vero, ma proprio per questo è stata approvata la norma sul legittimo impedimento, di cui la Corte, dovrebbe riconoscere la provvisorietà. Dopodiché, come in ogni riforma costituzionale, i tempi previsti non sono certo brevi e sarà anche difficile evitare un referendum popolare. In ogni caso i processi in questo modo rimarrebbero sospesi e si potrà così lavorare senza la mannaia quotidiana delle udienze a carico di Berlusconi.

Se invece la Corte dovesse ritenere incostituzionale il legittimo impedimento?

Non lo darei per scontato, perché è una norma che può piacere o non piacere, ma che non ha evidenti profili di incostituzionalità. In quel caso comunque bisognerebbe riscrivere una norma sul legittimo impedimento che tenga conto delle osservazioni della Corte.

L’accordo nella maggioranza sembra difficile da trovare, nonostante si continui a parlare di una positiva collaborazione tra Ghedini e la Bongiorno. Come andrà portata avanti la trattativa secondo lei?

 

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Guardi, il problema non riguarda soltanto Fini e i finiani, ma in primo luogo il Pdl. Questa politica fatta di persone, anziché di idee per cui due si mettono d’accordo e il resto del partito deve accettare e votare le proposte a scatola chiusa non può funzionare. Da tempo, purtroppo, le proposte di legge nascono come funghi senza che ci sia un dibattito precedente. In questo modo è inevitabile che la maggioranza si incagli. È successo riguardo sulle intercettazioni telefoniche, poi con il processo breve… Andare avanti a testa bassa per poi sbattere la testa contro un muro, come purtroppo fa qualcuno nel Pdl, è politicamente la cosa meno intelligente da fare.

 

Come si migliora il dialogo nel partito?

All’interno del Pdl c’è un organismo, la Consulta della Giustizia. Non si può pensare che questi dieci tecnici, peraltro tutti avvocati, possano decidere tutto. Il dibattito andrebbe portato avanti nelle sedi naturali che un partito dovrebbe avere, un’assemblea dove coloro che sono interessati all’argomento possano portare le loro opinioni. Naturalmente alla fine deve prevalere una maggioranza e la minoranza deve adeguarsi. Questo il metodo democratico.

Se l’accordo sulla giustizia sfuma che prospettive si aprono?

Io resto convinto dell’idea che il nodo da sciogliere non sia la giustizia, ma la legge elettorale. Il Paese non ama questa legge che mette in disparte la democrazia, negando al cittadino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Se non affronteremo noi il punto c’è il rischio concreto di una rottura e di una nuova formazione centrista che sia in grado di far nascere un governo tecnico per cambiare la legge e per mettere fine a questa legislatura.

(Carlo Melato)