“Una macedonia impazzita”! Mi si perdoni l’autocitazione, ma mi sembra doverosa dato che un giudice, Abigail Mellace, nelle motivazioni della sentenza riguardante l’inchiesta “Why not”, parla di un “castello accusatorio crollato in toto”. A uno come me, che è sempre stato a favore dell’operato della magistratura, non resta che darle ragione.
Il Gup definisce l’inchiesta il risultato di «un’operazione dal grande risalto mediatico soprattutto nella fase delle indagini preliminari, che ha portato alla ribalta nazionale i suoi principali protagonisti, divenuti nel frattempo veri e propri personaggi pubblici televisivi di grande notorietà».
Ecco che cosa rimane di quella clamorosa inchiesta che un pm catanzarese, Luigi De Magistris, ha posto in essere, facendone un formidabile oggetto di grande interesse mediatico. Una vera e propria bomba!
Non a caso la trasmissione televisiva “Annozero” ne ha fatto un grande processo mediatico che inevitabilmente si è concluso con la condanna all’ergastolo per tutti gli indagati. Gogna mediatica e pubblico ludibrio per politici, imprenditori ed esponenti della variegata società civile regionale e nazionale. Peccato solo che Santoro non potesse prevedere che da ìi a qualche anno quella nauseabonda gogna mediatica si sarebbe conclusa in una pressocchè totale assoluzione delle centocinquanta persone indagate, meno le otto condannate a pene piuttosto lievi.
Tra gli indagati, il pm iscrisse con solerzia e puntualità i vertici delle massime istituzioni del Paese: nientemeno che l’allora presidente del consiglio Romano Prodi e il Guardasigilli dell’epoca Clemente Mastella, e poi parlamentari di ogni specie, presidenti di regione, assessori, presidenti, consiglieri, avvocati, magistrati, poliziotti, preti, uomini e donne d’Italia.
Ho vissuto da neo-eletto deputato il drammatico momento dell’esplosione di "Why not", la "madre di tutte le inchieste". E ho toccato con mano quanto quegli avvisi di garanzia, immediatamente ripresi come primo titolo da tutti i Tg del regno, diedero una fortissima spallata al Governo e alla stessa Legislatura, che infatti dopo pochi mesi finirono per crollare.
De Magistris cercava, non so a questo punto quanto giustamente, coloro che avevano utilizzato risorse comunitarie e fondi nazionali per scopi privati, per corrompere e per fare affari, per mettere in piedi una gigantesca operazione clientelare.
In realtà, il Gup Mellace oggi ci dice: «l’ipotesi investigativa non ha trovato alcun conforto probatorio essendo stata sconfessata già nella fase delle indagini preliminari». Come dire, tutto fumo e niente arrosto.
Ma quelle indagini sono costate nove milioni di euro e una serie di farneticanti supposizioni che portarono a credere alla fantomatica loggia massonica di "San Marino", risultata poi pura invenzione.
Venuta meno l’associazione per delinquere, di quell’inchiesta che ha fatto tremare il Paese non è rimasto praticamente nulla. A dire il vero qualcosa è rimasto: le ceneri di attività imprenditoriali distrutte, di persone diffamate, di famiglie distrutte psicologicamente ed economicamente.
Ora, una cosa è certa: la corruzione impazza nel Paese e fa a pezzi il Sud, Calabria in primis. Per cui un’ indagine come quella di De Magistris venne salutata da quasi tutti noi come una formidabile occasione per fare pulizia dentro le istituzioni, nei partiti, nei sindacati, nelle imprese. Una speranza per tutti coloro che invocano da sempre legalità in una terra martoriata. Una terra dove la corruzione fa più danni e vittime della stessa ‘ndrangheta.
Invece,a poco a poco, "Why not" divenne una grandiosa macchina mediatica, capace di attrarre folle, scolaresche, studi tv, di riempire piazze, di scatenare gli animi più sensibili che si precipitarono a organizzare cortei chilometrici di osanna e di lode. Il dubbio ci venne quando i pm di quell’inchiesta iniziarono a frequentare i salotti tv, a fare conferenze. L’inchiesta divenne un’altra cosa.
I personaggi coinvolti aumentavano a vista d’occhio fra gli applausi dell’intera nazione e tutto il castello si reggeva su una testimone chiave, Teresa Merante, e su una equivoca figura di maresciallo dei carabinieri. La Merante poi è finita nel registro degli indagati e di lei oggi il giudice Mellace dice: «Le sue dichiarazioni sono state ritenute inattendibili, non solo in quanto intrinsecamente incredibili, ma perché smentite dagli esiti delle attività investigative di riscontro compiute dagli inquirenti».
E le migliaia di intercettazioni telefoniche, durate per anni, sulle quali l’inchiesta si poggiava saldamente? Ecco uno stralcio: «…non forniscono alcuna prova dell’esistenza del sodalizio descritto (associazione a delinquere) non ricavandosi dai colloqui intercettati la dimostrazione degli elementi costitutivi oggettivi di una qualsivoglia associazione».
Ma allora, com’è stato possibile che questa inchiesta scatenasse una vera e propria guerra civile dentro la magistratura (le procure di Salerno e Catanzaro si sono sfidate pubblicamente a suon di indagini e perquisizioni reciproche), mortificando e umiliando il prestigio e l’onore di tanti magistrati onesti e per bene che vi sono in Calabria, come altrove, che rischiano anche la vita per fare il loro dovere in una terra di frontiera che spesso somiglia a una terra di nessuno?
Per finire un omaggio alla memoria di Totò Acri, presidente della provincia di Cosenza e consigliere regionale, indagato eccellente. Il dolore per quello che stava accadendo divenne malattia e dopo alcuni mesi morì. Era un ottimo amministratore, amato e stimato da tutti, oltre che un fanatico della trasparenza e dell’onestà, che aveva un grandissimo rispetto per le istituzioni. Non poteva sopportare quell’indagine.
L’ho visto e sentito spesso in quel periodo: piangeva e gridava la sua innocenza. Venne prosciolto da tutto, ma il Corriere della sera che lo aveva citato fra gli indagati eccellenti, non ne parlò. A Totò Acri nessuno ha ancora chiesto pubblicamente scusa. E nemmeno a tutti gli altri indagati risultati innocenti dopo mesi di gogna nazionale e di sofferenza.
Per tutti questi motivi ho chiesto che venga istituita una commissione parlamentare d’inchiesta per fare luce su questa brutta pagina della storia del nostro Paese.