Vittadini pone la domanda giusta: se i famosi cinque punti di Berlusconi hanno illustrato le cose ancora da fare, perché Berlusconi queste cose ancora non le ha fatte? Ha avuto più di due anni dall’inizio della legislatura. Anzi, più esattamente, ha avuto quindici anni per realizzarle da quando è in politica e per gran parte di questo tempo è stato capo del governo.
I cinque punti ripetono infatti in gran parte quelle promesse di modernizzazione che ritroviamo nel programma iniziale di Berlusconi, quello del 1994. Nel migliore dei casi abbiamo perso quindici anni. L’effetto di vede: sono quindici anni che cresciamo (quando cresciamo) meno degli altri paesi europei.
Perché Berlusconi non ha mantenuto le promesse? Ci sono molti motivi.
Il primo è che è stato coinvolto (e si è coinvolto) in uno scontro senza esclusione di colpi contro la magistratura. Nei fatti la prima priorità non è stata risolvere i problemi del paese ma regolare i conti con la magistratura. In questa guerra è stato speso un enorme capitale politico, senza peraltro condurla a conclusione. In questo modo non si è fatta neppure la riforma della magistratura, che non si può fare a partire dai processi di Berlusconi.
È stato sempre più evidente nel tempo che i berlusconiani perdevano interesse e passione per qualunque cosa non fosse i processi di Berlusconi (e la televisione). Con queste priorità non si governa un grande paese.
Il secondo motivo è una evidente mancanza di cultura istituzionale. Il governo del fare non è mai riuscito a capire che governare non è la stessa cosa che dirigere una azienda e che un paese inceppato ha bisogno che si riformino meccanismi fondamentali amministrativi e costituzionali.
Faccio solo un esempio di scuola: in Spagna per trasferire risorse dai consumi agli investimenti e risanare il bilancio Zapatero ha diminuito del 5% gli stipendi dei dipendenti pubblici: sarebbe possibile una misura del genere in Italia? No, una giurisprudenza consolidata in materia di diritti acquisiti non lo permetterebbe. E se fosse davvero necessario? Bisognerebbe prima smantellare quel sistema di blocco.
Facciamo un altro esempio. In Italia non si fanno (non si possono fare) centrali per la produzione dell’energia. Ogni volta che ci si prova il Tar locale dà una sospensiva dei lavori su istanza di non importa chi. Bisogna prima rivedere le competenze dei Tar e/o incentivare una nuova giurisprudenza che ripristini la vecchia distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi, che in sostanza vuol dire che se l’opera pubblica serve al paese si fa e se qualcuno ne viene danneggiato non si ferma l’opera, ma lo si risarcisce dopo.
Per sbloccare il sistema è necessario smontare i meccanismi di blocco. È necessaria competenza tecnica, pazienza, capacità di trattativa di compromesso. È necessario un clima politico di comprensione con l’opposizione, se non addirittura un governo di larga coalizione.
Il terzo motivo è una concezione muscolare della politica chiamata bipolarismo per la quale ogni accordo con l’avversario in nome del bene comune è diffamato come inciucio e si cerca di vincere a qualunque costo, anche usando la calunnia, la diffamazione, la menzogna come arma di lotta politica. Non è così che si fanno le riforme.
Il quarto motivo è che molte riforme si fanno contemporaneamente a Roma e a Bruxelles e l’Europa per tutto il tempo del primo mandato di Barroso è stata ferma, presa dal problema del rifiuto popolare della Costituzione e della formulazione e approvazione del trattato di Lisbona.
Adesso però l’Europa si rimette in movimento, ma l’Italia è troppo distratta da altre cose per dire la propria e fare sentire una voce autorevole. La crisi dello stato assistenziale l’abbiamo in comune con tutta l’Europa.
Non siamo più in grado di finanziare i sistemi di welfare che abbiamo costruito. Dobbiamo costruire nuovi sistemi di protezione sociale ancorati non più al rapporto stato-cittadino ma a quello persona-società con un ruolo solo sussidiario dello stato. Non sembra essere questo il cammino della nostra tormentata riforma federale.
È però difficile fare la riforma del welfare senza una contemporanea riforma fiscale. Nel momento in cui si chiede alle famiglie e alla società civile di farsi carico di compiti più rilevanti per ciò che riguarda istruzione e assistenza è necessario restituire loro le risorse necessarie diminuendo il carico fiscale e smantellando, corrispettivamente, gli apparati burocratici che oggi si occupano di questi settori. Un compito da fare tremare le vene e i polsi che il presente governo fino ad ora non ha nemmeno impostato.