C’è un dato di fatto da cui partire, ed è ormai evidente a tutti. Il governo di Silvio Berlusconi non c’è più. Formalmente Gianfranco Fini e il suo gruppo di Futuro e Libertà sono ancora alleati non troppo riconosciuti, ma questa è appunto forma, non sostanza.
Da qualche giorno Fini e i suoi non iniziano nemmeno più il discorso con la promessa di fedeltà al mandato elettorale, per timore di una reazione forte di chi votò Pdl nel 2008. Non recitano la litania perché non ne hanno più bisogno: i finiani ormai hanno un altro programma, un’altra leadership politica, un altro elettorato di cui si rendono conto girando l’Italia per costruire il nuovo partito.
Si sono posizionati su un altro settore del mercato elettorale: e da lì arrivano guai se si dichiara fedeltà a Berlusconi, applausi invece se gli si fa lo sgambetto. Anche se solo poche settimane fa i finiani hanno votato la fiducia al governo, lo scenario sembra radicalmente cambiato.
Italo Bocchino auspica un governo tecnico e giunge perfino a dire che in caso di elezioni sarebbe disposto a un’alleanza di emergenza con Nichi Vendola, Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro. Inutile parlare ora del programma che può realizzare o meno questo governo. In scena ci sarà solo un’estenuante partita a scacchi per decidere come il governo dovrà terminare la sua corsa.
Fini vorrebbe fare cadere Berlusconi sulla giustizia, perché così guadagnerebbe consenso Fli e ne perderebbe il Pdl. Ma il premier eviterà quella buccia di banana, ritirando norme e perfino leggi per non favorire l’avversario. E cercherà di sfidarlo su argomenti più congeniali, ad esempio la riforma del fisco.
Quanto durerà la partita a scacchi? Forse a lungo. Ma non c’è da augurarselo, perché così non si governerebbe. Se Berlusconi comunque prestissimo o un po’ più tardi è destinato a cadere, c’è da prepararsi a un altro bel periodo di bagnomaria. Perché Fini e tutti gli altri tenteranno di mettersi insieme per un governo tecnico-politico.
Si dice che Giorgio Napolitano non vorrebbe dare la copertura a un’armata Brancaleone. Ma la sua volontà conta poco: se la maggioranza dei gruppi salirà al Quirinale dicendo “voglio continuare la legislatura”, lui un incarico dovrà dare. E se l’incaricato troverà i voti in Parlamento, il governo si fa.
Alla Camera la maggioranza c’è. Al Senato mancherebbe qualche voto. Ma arriverà perché – come dice Gaetano Quagliarello – «conosco l’animo umano e molti temono di non essere più ricandidati e pensano che questa esperienza sia la loro unica possibilità». I numeri potrebbero esserci, un vero governo no.
Diranno di volere fare una legge elettorale condivisa. Ma nella storia le leggi elettorali sono sempre fatte da una parte che le ritaglia sul presunto vantaggio che ne avrebbe (e magari sbaglia i calcoli). Siccome Fini, Casini, i transfughi berlusconiani, il Pd, Vendola e Di Pietro non sanno ancora con chi andranno e cosa faranno nella vita, quella legge elettorale è praticamente impossibile da varare. Magari qualche pateracchio arriverà, difficilmente risolutivo.
Probabilmente la soluzione migliore sarebbe andare alle elezioni subito, formare le squadre politiche e siccome poi difficilmente le urne offriranno una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, fare un governo di unità nazionale che tenga conto di tutti gli schieramenti, affronti l’emergenza economica e disegni una nuova architettura istituzionale per poi riandare al voto entro un paio di anni.
Comunque sia, avremo davanti un periodo non breve di transizione, con una politica che peserà di meno e la quasi impossibilità di essere governati – emergenze a parte.
Sembra tragico, ma non è poi così drammatico. Dal 2011 gran parte delle politiche economiche non apparterranno più ai governi nazionali, ma saranno concentrate a Bruxelles sulla base del nuovo patto di stabilità e crescita. Anche se ci fosse un governo nel pieno dei suoi poteri, i suoi margini di manovra sarebbero relativi: ridurre le spese e spostare quel che resta da un capitolo all’altro con invarianza di bilancio. Non c’è bisogno di grandi nuove leggi, semmai di toglierne un po’ evitando di complicare la vita degli italiani.
Forse è un’occasione d’oro avere la possibilità di autogovernarsi. Sempre meglio che essere mal governati.