Il nostro bicameralismo è perfetto – cosa nota – eppure pochi tratti del sistema costituzionale italiano sono stati tanto criticati quanto questa peculiarità del nostro Parlamento, in cui le due camere svolgono le stesse funzioni e derivano entrambe dalla stessa base elettorale. Essa è il risultato di un compromesso tra chi voleva un parlamento monocamerale e chi invece era a favore di una forte differenziazione tra le due assemblee.



Rese uniformi le Camere, tracce di differenziazione sono però rimaste nel dna dell’impianto costituzionale, che prevede sia una differenza per l’età dell’elettorato attivo e passivo sia nel numero dei componenti sia nella possibilità per il Presidente della repubblica di sciogliere anche solo una Camera (art. 88 Cost.), sentito il suo Presidente.



A questa norma si appella oggi il Presidente del Consiglio per cercare una via d’uscita dalla crisi in atto, che tante questioni pone non solo alla politica ma anche al diritto costituzionale, insieme di regole che dovrebbero fare da argine al dilagare del potere puro e che oggi sono messe drammaticamente sotto stress dallo sfaldarsi della costituzione materiale. La scelta che si profila potrebbe presentare dei vantaggi di non poco conto.

In primis, rimette al centro dell’iniziativa politica il Presidente del Consiglio, messo in scacco dalle scelte della sua coalizione, scelte che avevano invece ridato forza alle singole componenti della coalizione stessa e ai loro leaders, ricreando un clima che era tipico dei tempi della Prima repubblica. In vista di nuove elezioni, da tutti ritenute importanti, non risulta più necessario parlare di dimissioni del Premier.



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Senza compromettere del tutto la sua maggioranza – faticosamente (e per quanto riguarda il Senato forse anche fortunosamente) raggiunta all’indomani delle scorse elezioni – una elezione anche di una sola delle Camere consente allo stesso Presidente, in secondo luogo, di misurare il proprio consenso elettorale, consenso che – pur con qualche alterazione nel rapporto tra PDL e Lega – risulta essere oggi sufficientemente forte da consentirgli di continuare a governare. E questo a maggior ragione, visto che l’attuale sistema elettorale attribuisce il premio di maggioranza al 55% alla coalizione che raggiunge la maggioranza nel Paese (e non solo, come accade al Senato, con premi di maggioranza differenziati nelle diverse regioni)

Terzo vantaggio: l’ipotesi dello scioglimento di una sola Camera potrebbe, sul piano dei fatti, mettere sotto pressione singoli componenti della stessa, inducendoli a dare ancora la fiducia al Governo, come già avevano fatto dopo le elezioni, sottraendosi all’accusa di aver tradito i propri elettori. La minaccia di scioglimento della Camera, in passato, ai tempi del voto segreto sulle leggi, funzionava egregiamente per ricompattare la maggioranza sul voto di fiducia (da sempre voto palese) e scoraggiare anche i più accaniti tra i franchi tiratori, inducendoli a votare a favore delle iniziative governative.

Vi è poi da dire che, di fronte ad una proposta governativa di scioglimento di una sola delle Camere (e guarda caso, proprio quella il cui Presidente a provocato la crisi), il Presidente della Repubblica non potrebbe adoperarsi per cercare alternative al Governo in carica (cosa che invece potrebbe fare a fronte di dimissioni del Premier) né potrebbe controproporre lo scioglimento di entrambe le Camere, visto che al Senato il Governo dovrebbe aver ottenuto la fiducia e visto che, comunque, il decreto presidenziale di scioglimento deve essere controfirmato dal premier.

Certo, Fini si trova adesso in una situazione molto particolare: essendo chiamato, a norma della Costituzione, a dare il proprio parere (non vincolante per Napolitano) allo scioglimento, dovrebbe o assentire o opporsi, in entrambi i casi con conseguenze sia istituzionali sia elettorali abbastanza sgradevoli. Forse questa mossa di Berlusconi, almeno sul piano istituzionale, consente alla transizione verso il parlamentarismo maggioritario di fare un passo avanti. Vedremo come reagirà il sistema dei partiti, se asseconderà la tendenza o se cercherà ancora di contrastarla. 

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