«Vedrete, un’altra volta da Milano partirà una nuova stagione politica. Dopo il craxismo, il berlusconismo e in fondo il leghismo, che proprio qui nel 1993 elesse Marco Formentini, il suo primo sindaco di una grande città, in primavera con le elezioni comunali sotto la Madonnina potrebbe nascere finalmente il Terzo polo e da lì dilagare nel resto del paese».
Un politico di lungo corso, recentemente avvicinatosi al presidente della Camera, la prende un po’ larga per descrivere gli scenari della politica italiana. Certo il paragone è ardito, scomoda nientemeno che fenomeni sicuramente di lunga durata dentro le vene della società italiana.
Sarà questo il destino del costituendo blocco di centro? Difficile dirlo. Certamente in queste ore è quanto mai necessario separare quel lembo di tattica necessaria ad arrivare all’appuntamento del 14 dicembre, quando Silvio Berlusconi chiederà la fiducia in Parlamento, con la strategia, che sotto la crosta appare molto chiara. Sulla prima è ovvio che la crisi internazionale e la necessità di dare garanzie ai mercati per evitare speculazioni pericolose sul sistema Italia potrebbe portare persino a una fiducia selettiva capace di far scavallare la data al Cavaliere.
La fantasia non manca e va da assenze strategiche dai banchi del parlamento al pressing delle categorie economiche e sindacali per lanciare una stampella al signore di Arcore per senso di responsabilità nazionale. Ma per il resto non ci sono scappatoie.
Dopo qualche distinguo e mal di pancia, Fini e Casini sembrano blindati almeno su un punto: per avviare un eventuale nuovo patto, il Cavaliere si deve dimettere. Poi disponibili ad aprire una fase nuova, magari accettando pure Berlusconi bis. Ma il capestro è che si deve cambiare la gerarchia degli alleati e l’equilibrio di governo, oggi troppo sbilanciato sulla Lega.
Su questa agenda minima i due dissidenti sono allineati. Il bersaglio grosso è ovviamente scalzare la monarchia di Re Silvio, ma soprattutto nel mirino c’è l’egemonia leghista dentro alla coalizione. E sul punto si può scommettere che andranno fino in fondo. È troppo marcito il quadro per tornare indietro.
Basta vedere il percorso dal 29 settembre ad oggi per capire che la frattura è ormai insanabile. Ricordate? In quel giorno Berlusconi si presenta alle Camere e prende la fiducia anche dei Finiani su 5 punti di agenda: federalismo fiscale, sicurezza, piano sud, giustizia e riforma del fisco. Sembrava la firma di un nuovo patto di legislatura e che la crisi fosse rientrata e invece…la fronda dei futuristi non si placa e pochi giorni dopo a Bastia umbra il loro leader sferra un durissimo attacco al forzaleghismo.
Nonostante il Cavaliere avesse accettato la nascita di Fli, riconoscendogli dignità politica. Il motivo? Semplice. La vera faglia che ha portato allo scongelamento del blocco finiano e un suo avvicinamento all’unico partito che guarda caso ha votato contro il federalismo, cioè l’Udc, nasce proprio dall’avversione a questa riforma.
Sono bastati un paio di decreti attuativi peraltro scatole vuote senza numeri, per spaccare la rappresentanza del paese: Fini e Casini a presidiare le ragioni del sud frustrato da un passaggio ai costi standard delle prestazioni, e l’asse Lega-Berlusconi a difesa dei ceti produttivi padani vessati da fisco e burocrazia. Questo è il vero motivo dello scisma, ben oltre il moralismo anti Cav di cui si fa portatore Gianfranco Fini. E per questo il dissidio alla lunga non potrà rientrare dietro qualche lusinga di Palazzo.
Quanto alla road map, nessuno è però in grado di capire come evolverà la crisi, come si arriverà concretamente al divorzio e alla ricomposizione di un nuovo quadro politico. Probabilmente non lo sanno nemmeno i protagonisti. Certamente oggi e domani a Milano se ne capirà qualcosa di più. Stasera Luca di Montezemolo, tirato per la giacca da molti protagonisti, dovrà battere un colpo e dire che farà da grande; domani il convengo organizzato dall’area Cacciari con Casini, Rutelli e il luogotenente al nord del presidente della Camera, Benedetto dalla Vedova.
Secondo Renato Mannheimer, un blocco centista con sopra la ciliegina Montezemolo varrebbe il 20% dei consensi. Resterebbe sotto sia Pd che Pdl, ma abbastanza per scompaginare il quadro. A quel punto ci vorrebbe una nuova legge elettorale per valorizzarne la nascita e certificare la fine del bipolarismo inventato da Silvio 16 anni fa. Nuova legge elettorale che, non a caso, è in cima alle richieste dei futuristi…