Non accennano a placarsi le proteste nei confronti della riforma universitaria su cui si voterà domani. Il centrodestra, nonostante le polemiche della scorsa settimana, ritrova Gianfranco Fini tra i sostenitori di un disegno che, a suo avviso, è “una delle cose migliori di questa legislatura”. Nel frattempo continua il braccio di ferro tra il Presidente della Camera e il Presidente del Consiglio in vista del 14 dicembre, giorno della fiducia al governo. In questo momento di grande incertezza quali sono le proposte dell’opposizione? Quale ruolo dovrà giocare il Partito Democratico se il governo non dovesse ottenere la fiducia e si aprisse davvero la crisi? Luciano Violante ne ha discusso con IlSussidiario.net.



Sulla riforma dell’università Ignazio Marino ha fatto notare che Bersani ha chiesto al partito di votare alla Camera contro quell’Articolo 18 che il Pd aveva appoggiato al Senato e su cui aveva collaborato, dato che in gioco c’è l’assegnazione dei fondi alla ricerca in base al merito. C’è il rischio che il Partito Democratico per assestare il colpo letale a Berlusconi metta da parte i contenuti?



In un momento di tensione è inevitabile che si giunga alla contrapposizione frontale, ma devo dire che la posizione del Pd è stata del tutto condivisibile. Non è in corso una deriva oltranzista anche perché le nostre considerazioni sono diverse da quelle delle forze radicali. Nel merito: il dissenso su quell’articolo è stato determinato dal fatto che c’è una grande incertezza sulle disponibilità finanziarie  e si propongono soluzioni che prevedibilmente non saranno poi realizzate nel futuro. Faccio un altro esempio: in un articolo successivo si parla di selezione dei docenti. Se si approfondisce ci si rende conto però del fatto che non è prevista una rigorosa selezione in base al merito, ma  una generica progressione senza demerito. Non si favoriscono così le forze più meritevoli. 



Si torna poi a parlare di riforma della giustizia. Berlusconi ha annunciato che se ne parlerà domani durante il Consiglio dei Ministri. Qual è il suo giudizio sul cammino della riforma dopo la contestazione degli avvocati nei confronti del ministro Alfano e le parole del Presidente dell’Anm, Luca Palamara?

Purtroppo non ci sono le condizioni politiche per affrontare questo argomento. Nonostante le dichiarazioni propagandistiche su una riforma che deve arrivare al termine “a tutti i costi”, all’interno della maggioranza c’è grande confusione e le proposte cambiano di giorno in giorno. La riforma costituzionale della magistratura può avvenire solo all’interno di una più generale riforma costituzionale e nel solco delle garanzie previste dalla Costituzione, non contro quelle garanzie. Stiamo parlando di una riforma costituzionale complessa che dovrebbe: rafforzare i poteri del Presidente del Consiglio, ridisegnare un Parlamento che sia ridotto nei numeri, ma che funga da monopolista del controllo sulle attività del governo, superare il bicameralismo paritario e dare al Senato la possibilità di governare il rapporto Stato-Regioni. Solo dopo aver fatto tutto questo sarebbe possibile riformare le diverse magistrature,  che sono parte della governance del Paese. A quel punto anche la magistratura dovrebbe certamente assumersi le proprie responsabilità.  Data la situazione politica, però, mi sembra velleitario affrontare adesso su questo tema.

Fra poco più di due settimane l’esecutivo è atteso dal “giorno della verità”: c’è chi prevede una fiducia risicata e chi è sicuro della crisi, mentre Berlusconi sembra sperare in un allargamento della maggioranza. Che scenari si aprirebbero in questi tre casi?

Sull’“allargamento della maggioranza” mi lasci dire una cosa. Da anni il centrodestra spiega a tutti che le maggioranze elette dagli italiani sono immutabili e continua a propinare la “mistica del ribaltone”. Ma l’On. Santanchè, che si era presentata contro l’attuale maggioranza, oggi è sottosegretario all’Attuazione di quel programma contro il quale aveva invitato a votare. Il premier chiede all’Udc di entrare al governo. Ma l’UDC è all’opposizione.  Lo spostamento dalla opposizione alla maggioranza va bene solo quando giova al centrodestra? Mi sembra un teoria politica un po’ balzana. Detto questo, la ritengo comunque un’ ipotesi disperata: penso che l’Udc non farà da “ruota di scorta” e che non contraddirà se stessa, dato che aveva votato contro i cinque punti.

Riguardo alle altre due ipotesi?

Nel caso di una maggioranza ridotta l’interrogativo che dobbiamo porci non è tanto sul 14 dicembre, ma sul futuro del  governo Berlusconi. Penso che in quel caso sarà la stessa Lega a tentare di staccare la spina. La decisione alla fine spetta al Capo dello Stato.
Se Berlusconi, invece, non otterrà la fiducia sono convinto che sia dovere di chi avrà votato contro proporre un governo di responsabilità nazionale, indicando al Capo dello Stato una figura autorevole in grado di portare a termine il federalismo, riformare le istituzioni, la legge elettorale e affrontare la crisi economica.
Un governo che non può essere presieduto dall’attuale premier, ma che  non escluda nessuno, perché la responsabilità nazionale non è partigiana.

Con una durata limitata?

Direi di sì, dopo un anno e mezzo si potrà tornare a votare. Un governo di sei mesi che non sia in grado di risolvere i problemi più importanti del Paese sarebbe invece una perdita di tempo, mentre un “Berlusconi bis” non avrebbe senso.

In questa fase sembra cruciale la scelta che farà l’Udc. Casini è ancora per voi un potenziale alleato o secondo lei sceglierà di costituire un Terzo Polo o addirittura di rifondare il centrodestra?

Non mi sembra che oggi  ci siano le condizioni per un’alleanza strategica tra Pd e Udc, anche se a me non dispiacerebbe. Il partito di Casini è, a mio parere, oggi  alternativo al centrosinistra, anche se potrà esserci certamente una convergenza nel caso di un governo di responsabilità nazionale. Nel lungo periodo penso che l’Udc potrà rendere il centrodestra, con  Fli, più autorevole e ancorato alla tradizione democratica del nostro Paese.
Se si andrà al voto a breve mi aspetto però tre coalizioni. Un’ipotesi che rende necessari almeno dei correttivi alla legge elettorale, se non ci sarà il tempo di farne una  nuova…

Cosa intende? 

Con tre poli il vincitore non potrà presumibilmente andare oltre il 40%. L’attuale premio di maggioranza regalerebbe in quel caso il 55% dei deputati alla “migliore delle minoranze”, trasformandola in una maggioranza assoluta. Non penso che sia coerente con i principi democratici di qualunque paese civile. Questo discorso vale, ovviamente, anche nel caso di una vittoria del centrosinistra. Un’ipotesi che non è così lontana, dato che i sondaggi vedono ormai alla pari i due schieramenti: Pdl-Lega e Pd-Idv-Sel.

Quali soluzioni propone?

Un quorum del 45% per ottenere il premio di maggioranza e la reintroduzione della preferenza. Chi vorrà indicare una seconda preferenza dovrà scegliere un candidato di sesso diverso. In questo modo verrà favorita la parità di genere. Non sono fautoe della preferenza e preferisco il collegio; ma in via transitoria la cosa più importante è restituire il voto agli elettori.
Con questi correttivi vedremo poi se gli italiani sceglieranno il bipolarismo, premiando una delle due coalizioni maggiori, o se lo bocceranno distribuendo il consenso tra i tre poli.

Da ultimo, nel centrosinistra si discute sullo strumento delle primarie, che sembrano favorire i candidati della sinistra radicale. Nel Pd c’è anche chi teme l’“attacco” di Nichi Vendola e pensa che una sua vittoria alle primarie di coalizione potrebbe significare la fine del Partito Democratico. Lei cosa ne pensa?

Le primarie non sono l’“altare della democrazia”, ma rimangono uno strumento positivo. Non si vota per appartenenza, ma per gradimento. Per questo non bisognerebbe stupirsi o fare drammi se non vince il candidato del partito più forte.
Su Vendola invece i timori mi sembrano esagerati. In prospettiva nulla vieta un patto strategico con un politico capace e navigato come lui che in un futuro potrebbe anche guidare il Pd.
In ogni caso è il momento di battere il centrodestra, non quello di batterci tra di noi.

Anche secondo lei la "narrazione" di Vendola alla lunga si rivela più efficace del messaggio di Bersani?

In realtà io penso che Bersani sia un leader post-berlusconiano, che parla con semplicità di cose vere, che non ha lo scopo di sedurre l’ascoltatore, ma di convincerlo. Quando, credo tra non molto, sarà finita l’ubriacatura e sarà ridotta la spettacolarizzazione della politica  torneremo alla capacità di dire la verità e di esercitare la responsabilità. In questo senso  Bersani è l’uomo più adatto per la nuova fase. 

(Carlo Melato)

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