Nel Pd è tornato il tempo dei fuochi ma con molte differenze rispetto al recente passato. In primo luogo per la caratterizzazione di chi ha acceso il nuovo dibattito, in secondo luogo per le prospettive che esso apre. Bersani deve ora fare i conti con una discussione che parte dall’interno della propria maggioranza e in particolare dalla componente dalemiana.
Domenica scorsa l’ex presidente del Consiglio ha proposto un governo di salvezza nazionale e uno schieramento elettorale, in caso di voto anticipato, che si spinga fino a raccogliere i finiani. È del tutto evidente che in questo caso non ci sarebbero le primarie e che Bersani non sarebbe il candidato premier.
Nicola Latorre, invece, prendendo atto della difficoltà strutturale del Pd, e del crescente peso di Vendola, ha proposto al governatore pugliese un nuovo patto fondativo che modificherebbe gli assetti interni in modo radicale. Si tratta di due proposte che stanno assieme, cioè non si contraddicono.
D’Alema si rende conto che bisogna sbloccare la situazione italiana e immagina un governo di transizione, non guidato da Berlusconi, aperto anche al PdL e immagina anche che in caso di scontro elettorale bisogna mettere assieme tutti quelli che vogliono una nuova stagione politica rinviando la gara fra destra e sinistra ad un tempo successivo.
Latorre immagina che in questa transizione e nel tempo successivo c’è bisogno di una sinistra più larga e quindi si rivolge a Vendola partendo dal presupposto che l’esperienza di governo ne faccia un interlocutore assai diverso dalla vecchia sinistra radicale. Tutti e due, cioè sia D’Alema sia Latorre, propongono un patto al nuovo centro ovvero al nuovo centro-destra.
Per il Pd si tratta di una discussione che, se svolta con calma, può diventare proficua, se gestita con ansia può provocare deflagrazioni. Sono infatti in sofferenza sia la componente che fa capo a Fioroni, timorosa di perdere rappresentatività con un’asse interno spostato a sinistra e una valorizzazione dei moderati esterni, sia i seguaci di Enrico Letta per gli stessi motivi. Per Bersani si apre il capitolo del senso da dare alla propria segreteria. Le critiche su di lui si fanno pressanti e spesso ingenerose.
Tuttavia il segretario se non prende la guida, con una proposta politica, di un nuovo corso rischia di restare invischiato nelle secche. Il PdL è già saltato e il Pd non piace neppure ai suoi costituenti. Siamo di fronte a una vera crisi del sistema politico. Se a questo si aggiunge il fatto che il carisma di Berlusconi resiste per uno zoccolo duro di suoi elettori, ma non rivela più capacità di espansione, allora capiamo che l’Italia sta entrando in una nuova fase.