La settimana che si è aperta ieri sembra quella dei “giorni del giudizio” per la politica italiana.
I toni con cui i mass media nazionali descrivono la giornata della fiducia  o della sfiducia al governo Berlusconi sembrano quelli che accompagnano la svolta di un’epoca. Invece  bisogna essere realistici, se non scettici, su queste attese.



Nel suo insieme la cosiddetta “Seconda Repubblica” appare più che mai, e sempre, come “L’araba fenice”, quella che “tutti sanno dove è, ma nessun lo dice”.
Chissà se i precursori della svolta del 1994 si ritengono soddisfatti di questo mutamento della politica italiana. È probabile che, per difendere l’operato di oltre quindici anni, qualcuno insista a difendere questo “pasticcio”. Ma è una difesa d’ufficio, non può assolutamente essere una
convinzione meditata.



Si è riusciti ad arrivare, in questa circostanza, a un paradosso che difficilmente si può trovare nella storia dei Parlamenti. Apparentemente, c’è un governo che pone la fiducia con qualche intenzione di andare alle elezioni anticipate, nonostante tante rassicurazioni, e c’è un’opposizione, tra le più variegate, che pone la sfiducia anche per fare un Berlusconi bis! Basta che sia un altro governo di facciata. 

Cercare di spiegare questo groviglio diventa spesso impossibile, se non indagando in protagonismi personali, storie intricate, alleanze con "pezzi" delle istituzioni fatte per difendere consolidati privilegi.



Il tutto avviene in uno dei momenti storici più delicati per la finanza e l’economia mondiale, con ripercussioni globali sulla tenuta sociale di vari Paesi. Il minimo che si possa dire è che questo sia un gravissimo errore che, politicamente parlando e parafrasando Talleyrand, è "peggio di un delitto".

Anche perché, riferendosi specificamente all’Italia, gli effetti della crisi economica globale sono stati  al momento contenuti, anche per l’opera di questo governo, ma soprattutto per la tenuta di questo Paese. Ma la tenuta non può essere infinita di fronte a una recessione che non è ancora stata superata e che nessuno sa esattamente quanto possa durare.

Come si può a questo punto comprendere razionalmente qualche cosa di questa crisi? In realtà, comunque vada finire in Parlamento, è difficile ritenere che tutto prosegua sino alla fine della legislatura. Perché di una nuova crisi di legislatura si tratta.
La sostanza del problema a questo punto è domandarsi se questo sistema politico di "nuovi partiti", nati quasi per caso o rifondati per convenienza, possa  effettivamente rappresentare un grande Paese come l’Italia.

E allo stesso tempo chiedersi se un sistema istituzionale come l’attuale sia in grado di garantire stabilità e futuro.

Forse sarebbe bene rendersi conto che, come si diceva nel 1994, non ci sono più (se mai ci sono state) "vie d’uscita europee". Non ci sono "questioni morali" da porre con tormentoni petulanti, invocando regole che dovrebbero garantire una sorta di società perfetta. Esistono invece grandi lobbies mondiali in settori come la finanza, l’energia e i media, che possono essere tenute a bada solo con l’azione di governi solidi e con accordi possibili tra governi solidi.

Ora, pensare che in Italia il problema sia il cavalier Silvio Berlusconi, oppure un "Berlusconi bis" è come scambiare lucciole con lanterne. Tanto rumore per nulla.

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