Un “salto di qualità” della politica italiana. Questo è ciò di cui il Paese ha bisogno secondo il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nel suo discorso natalizio di ieri ha lanciato questo appello alle alte cariche dello Stato. Un cambio di passo “decisivo” per la stabilità, per la continuità della vita Istituzionale e per la tenuta del Sistema Italia nell’attuale contesto europeo.



Il Capo dello Stato, dal canto suo, ha assicurato che continuerà ad operare «secondo regole e prassi costituzionali, tenendo conto della volontà espressa dal corpo elettorale». Parole che la maggioranza ha accolto favorevolmente, ma che, innanzitutto, invitano entrambi gli schieramenti a fare il possibile per superare la “quotidiana gara delle opposte faziosità”.



«Penso che nel centrodestra, se si vuole davvero aprire una nuova stagione politica, l’autocritica inizi ad essere necessaria – dice Marcello Veneziani a IlSussidiario.net -. A cominciare dal partito: il problema, infatti, non è che il “modello Pdl” sia fallito, ma che non sia mai nato. Le conseguenze più evidenti si sono potute registrare nel processo di selezione della classe dirigente e devo dire che questa era l’unica critica pertinente della lunga campagna di Fini contro Berlusconi. L’elenco delle colpe “politiche” potrebbe continuare, ma anche la stampa dovrebbe assumersi le proprie responsabilità».



Partendo proprio da questo spunto, pensa che in questi mesi Libero e Il Giornale abbiano inseguito La Repubblica e che la stampa in generale abbia rischiato di favorire la contrapposizione frontale?

In un clima generale di “guerra” come quello che ci siamo appena lasciati alle spalle è indubbio che anche la stampa abbia imbracciato le proprie armi. Se dovessi limitarmi a indicare gli errori commessi nel mio campo dovrei dire che, abbastanza comprensibilmente, è stata inseguita una linea contrapposta, ma alla fine speculare, a La Repubblica. Ora però è il momento di dare iniziare una nuova fase: dobbiamo smilitarizzare il giornalismo italiano, smontando le macchine del fango, da qualunque parte esse provengano. Un conto è il giornalismo orientato che sa dare dignità alle posizioni delle persone, un conto è cavalcare il “Basic Instinct” del populismo mediatico…

E cosa dovrebbe fare invece Berlusconi per aprire la “nuova fase” del Popolo della Libertà?

Azzerare i vertici attuali, che hanno dimostrato di non essere all’altezza, e puntare su una soluzione unitaria. Occorre individuare una personalità politica di grande spessore in grado di esprimere un punto di condivisione tra le anime prevalenti del Pdl. È il momento di dare una nuova caratterizzazione al  partito: deve diventare il primo vero laboratorio di selezione della nuova classe dirigente sulla base del merito e della qualità. Bisogna “soltanto” individuare le energie migliori e dare loro la possibilità di esprimersi, il resto verrà di conseguenza…

Su questo si aspetta una svolta da parte del premier?

Di certo il Cavaliere dovrà forzare la sua natura e decidere che non è più il tempo di circondarsi di “mezze calzette” e “yes man”. Se saprà farlo dimostrerà di essere non solo un grande leader, ma di avere anche una lucidissima capacità di giudizio.
Certo, Berlusconi ha già sprecato un’occasione d’oro per raggiungere quest’obiettivo: quando Fini iniziò a criticare la gestione del partito avrebbe dovuto dargli ragione, spostando il conflitto sul partito ed evitando così di coinvolgere il governo. Ora che Fini è stato ridimensionato il premier ha una nuova chance: non è però il momento di recuperare i tanti buoni notabili persi per strada durante tutti questi anni, è ora di investire sui quarantenni, per intenderci, sulla “generazione Alfano”…

Una volta incassata la fiducia, il premier si ritrova tra le mani una maggioranza risicata. Meglio rinforzare lo schieramento dedicandosi al passaggio dei singoli parlamentari o trattare con Casini un allargamento più serio, ma inevitabilmente più costoso?

Innanzitutto sono convinto che ci sia un discreto blocco di deputati, dalle provenienze più diverse, che potrà rinforzare il governo investendo su questa legislatura. Questo potrebbe comunque permettere al Cavaliere di trattare con Casini senza eccessivi affanni. Sono poi  convinto che lo stesso leader centrista abbia tutto l’interesse nel negoziare, perché ha la seria possibilità di ereditare la leadership del centrodestra. Non escluderei infatti, nonostante la nascita del Terzo Polo, che il leader dell’Udc possa restituire a Fini lo "sgambetto" che l’ex leader di An gli riservò ai tempi del “predellino”… La situazione rimane in ogni caso imprevedibile, anche se ridurrei gli scenari possibili essenzialmente a due.

Quali?

La prima è l’"ipotesi Casini” che abbiamo appena ventilato: una sorta di nuova Democrazia Cristiana o di “transizione morbida”. Soluzione che, dopo un periodo di forte contrasto bipolare, non può entusiasmare, ma allo stesso tempo non può spaventare nessuno. L’alternativa a tutto questo è invece il rilancio della rivoluzione berlusconiana, non più in senso “liberale”, ma “nazionale”.

Anche lei pensa che la “rivoluzione liberale” del ’94 sia definitivamente fallita?

Bisogna dire che, nel modo in cui era stata immaginata, era impraticabile fin dal principio: il partito liberale di massa si è rivelato un’utopia e di quella rivoluzione attendiamo ancora alcune conquiste fondamentali, come la riduzione dei vincoli dello Stato e della pressione fiscale. Nel frattempo la sfida principale è diventata quella di ridisegnare lo stato sociale. È inevitabile che la rivoluzione liberale sia ormai vecchia, d’altronde ne parlava Gobetti negli anni Venti…

E cosa intende per “rivoluzione nazionale”?

Una rivoluzione comunitaria che porti a una democrazia responsabile. È proprio l’idea di responsabilità il passo in avanti rispetto alla rivoluzione fallita. Serve meno statalismo e più comunità, serve una rivoluzione del merito che rilanci l’Italia come superpotenza mondiale della cultura e delle arti…

Su quest’ultimo tema l’attuale governo è oggetto di numerose critiche. Le ritiene ingiuste o ci troviamo davanti a un’antica malattia della destra?

È un problema storico già dai tempi della nascita del "Polo della Libertà". Se si continua a sottovalutare la cultura, se la si considera un inutile orpello degno di un ministero di Serie b da affidare a personaggi di minore levatura si presta il fianco, come è ovvio, alla critiche. Nell’altro versante c’è comunque poco da stare allegri: la sinistra non ha a cuore la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, ma è soltanto impegnata a garantire il potere culturale di una vera e propria "casta"…

In estrema sintesi, la rivoluzione di cui lei parla riguarda in primo luogo il centrodestra più che il Paese?

È innegabile che le sfide di cui abbiamo parlato siano complicate e difficili e che le possibilità di riuscita non siano altissime. Di certo, tutti quelli che in questi mesi ci hanno spiegato che il Presidente del Consiglio era sul viale del tramonto sono stati costretti ad ammettere che anche questa volta ha vinto la sua battaglia e tutti sanno, d’altra parte, che se si andasse a votare domani nessuno potrebbe batterlo. Detto questo, tocca soltanto a Berlusconi decidere se dopo di sé vuole lasciare le macerie o un’impronta indelebile nell’interesse del Paese…

(Carlo Melato)