Rincuorato dall’appello di Napolitano alla “continuità”, dai sondaggi e dalla formazione di gruppi di responsabilità, Berlusconi ha ora davanti a sé l’obiettivo principale: convincere Casini a entrare nel governo. «Noi riteniamo di poter allargare la maggioranza uscita dal voto di fiducia – ha detto ieri sera a Matrix il Cavaliere -, ma se non ci dovessimo riuscire torneremo dagli elettori». Un’operazione comunque non facile sia perché il leader centrista ha dato vita al “Polo della Nazione”, sia per il nervosismo di Bossi. «L’Udc è con noi nel Partito popolare europeo e la nostra separazione da loro nella politica nazionale è assolutamente artificiale – dice però fiducioso il ministro Gianfranco Rotondi a IlSussidiario.net -. La rottura con Fini ha chiuso una fase politica, ora si aprono nuovi equilibri».



Sul fatto che il Governo, pur avendo superato la prova della fiducia, non può andare lontano con questi numeri non ci sono dubbi però?

Il 14 dicembre ha vinto la regola eterna della politica: ciò che è nel Paese è nel Parlamento. Berlusconi è il leader dell’Italia per volontà della maggioranza degli italiani e il Parlamento ha interpretato questa condizione.
Berlusconi comunque ha già offerto uno scenario di stabilità della legislatura e un curioso e nuovo affresco dello scenario successivo: si è infatti proposto come costruttore di una nuova unità dei moderati, Fli e Udc compresi, nella prospettiva di una nuova classe dirigente.



In questi giorni si parla di una nuova casa dei moderati o di costituire la sezione italiana del Partito Popolare Europeo. Lei cosa ne pensa?

Con pragmatismo lombardo, Roberto Formigoni ha lanciato la proposta del Ppe in Italia e ha centrato il problema: non ci possono essere in Italia due Ppe, il nostro e quello di Casini. Altrimenti facciamo come la rifondazione della Dc, ne avevamo una mentre oggi ce ne sono in giro una dozzina. È sul partito che dobbiamo aprire un confronto con Casini.

Cosa intende?

 

Lui propone un “Partito della nazione” che in fondo è una cosa abbastanza simile all’intuizione originaria di Forza Italia, ma non credo che tutto questo possa esaurirsi in questa Legislatura.
Il dialogo con l’Udc però è ripreso da tempo e questo è importante. Personalmente sarei più favorevole a tornare al voto assieme a Casini in una nuova alleanza e su questo punto anche la Lega sta aprendo degli spiragli.



 

 

Anche se è sopravvissuto alla scissione finiana il Pdl ha il dovere di aprire un nuovo corso secondo lei?

 

Guardi, se il Pdl lo avessimo gestito io e Giovanardi probabilmente a questo punto Fini sarebbe ancora con noi, il governo sarebbe durato cinque anni e dopo quel periodo l’usciere, quello più antico ed elegante di Palazzo Chigi, alla fine del 2013 avrebbe detto: “Presidente scusi, c’è una macchina qui sotto, mi dicono che dovrebbe andare al Quirinale”. E non a fare un altro governo, ma ad accomodarsi lì, perché sarebbe stato un percorso normale.

 

 

E per quale motivo non è andata così?

 

Perché questo è un partito strano. Io sono cresciuto nella Dc, dove si diceva: o chiudiamo le correnti o il partito muore. Nessuno ha chiuso nulla, le correnti sono rimaste vive e il partito è morto. Bisogna stare attenti perché stiamo ripetendo lo stesso errore: a forza di dire che non ci debbono essere le correnti, ognuno si fa la sua e il rischio che il partito abbia delle difficoltà è altissimo.

 

 

Il progetto andrà aggiornato o si può promettere ancora una volta agli italiani la “rivoluzione liberale”?

 

Le rispondo così, i valori del Pdl sono gli stessi della Dc. Berlusconi, come Alcide De Gasperi, ha unito l’Italia e il popolo moderato. Non a caso a piazza San Giovanni, disse le sue stesse parole: «questa piazza non sta qui per noi, ma per le idee che rappresentiamo». Lo so che molti si arrabbiano quando io accosto Berlusconi a De Gasperi, ma gli storici saranno più generosi dei cronisti, sulla presenza di Berlusconi nella politica italiana.

 

 

Berlusconi deve porsi il problema della successione della leadership o di “delfini” non se ne vedono?

 

Berlusconi, Fini, Bossi e Casini sono stati protagonisti di una leadership del centrodestra durata quasi vent’anni. L’errore di Fini e Casini è pensare che demolendo Berlusconi viene il turno loro.
Berlusconi ha ancora un rapporto profondo con il Paese. Lui ha detto che vivrà fino 120 anni, ora ne ha 74, io sarei felicissimo se governasse per almeno altri quindici. A questo giro Silvio sarà ancora il leader e gli altri, se pure rientreranno in Parlamento, non potranno prepararsi al giro successivo al quale arriveranno ultrasessantenni.

 

 

Date queste premesse e le mille difficoltà che si nascondono dietro la trattativa con i centristi, qual è la sua previsione su ciò che accadrà?

 

Nessuno ha la sfera di cristallo, ma al Paese serve che i due principali partiti tornino a dialogare. Se Bersani ne è capace, è tempo di una nuova politica del confronto nel solco della migliore tradizione repubblicana. È opportuno uno sforzo comune nell’interesse nazionale per preservare il bipolarismo che rimane una felice intuizione e una conquista importante del nostro sistema. Sulla legge elettorale, ad esempio, potremmo considerare solo un accordo diretto tra noi e il Pd per accentuare il bipartitismo, ma non credo che i democratici siano disponibili.

 

 

Da ultimo, Fini ieri ha ribadito che non si dimetterà. Secondo lei il centrodestra fa bene a tornare a chiedere che lasci Montecitorio?

 

È un gioco che non mi appassiona. Dico solo che la scelta di Fini ha avuto come conseguenza la crisi politica che, intrecciandosi con quella economica e internazionale, dà la misura di come la classe politica a volte si chiuda occhi e orecchie…