Il silenzio di Bersani è assordante. I distinguo seri ma non comunicabili di Fassina, troppo colti per essere compresi, mentre invece il sì squillante di Fassino che si candida anche in questo modo alla corsa per le primarie da sindaco (con una prima ferita da San Sebastiano) si accomuna alla filo-marchionniana empatia del sindaco attuale di Torino, Chiamparino.



Una spaccatura insanabile che tuttavia è interna alla consapevolezza comune che l’occupazione e la necessità dell’investimento sono l’appuntamento inderogabile a cui si è chiamati, se non si vuole la scomparsa del settore industriale che per indotto è il più importante d’Italia e uno dei più ampi d’Europa.



Esiste poi la categoria dei professionisti del liberismo atomistico antipersonalistico all’Ichino per i quali tutto va benissimo e ai voleri Fiat non solo si deve aderire toto corde, ma anche dichiararsi contenti e felici a ogni diktat che il marchionnismo ci impone. Ed è proprio qui il disvelamento del disfacimento intellettuale del Partito Democratico

La sinistra antagonista coglie nel “world manifacturing process” e nel salario legato alla produttività la quintessenza dello spirito capitalistico a cui occorre opporre non la negoziazione sindacale e la contrattazione, ma l’antagonismo, ossia l’ipostatizzazione dei diritti svincolati dai doveri continuando il sorelismo trentiniano e carnitiano del salario variabile indipendente.



La sinistra antagonista ha sublimato la sconfitta storica del 1980 e della marcia dei quarantamila interpretandola non come l’avvento di un nuovo ciclo capitalistico, ma come un tradimento delle oligarchie sindacali e partitiche socialdemocratizzatesi: Cgil, Pci ed ex Pci in testa. Lo sbocco non potrà che essere la trasformazione della Fiom in un sindacato rosso dalle ascendenze anarco-sindacaliste. Si tratta in ogni caso di una traiettoria tragica per i lavoratori, ma lineare e fiera nella disperazione.

Ciò che succede nel Pd, invece, ricorda il cuore di “The Four Quarter” di T.S. Eliot: “Tutto finirà non con un big bang ma come uno sbadiglio”. Uno sbadiglio oblomoviano di coloro che non sanno neppure invocare la necessità di articolare un discorso di accettazione critica dell’accordo. La critica doveva e deve essere quella sull’errore compiuto tanto dalla Fiat quanto dai sindacati firmatari di escludere la Fiom dalla rappresentanza in fabbrica invocando l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori perché disdettanti gli accordi del 1993 e il contratto nazionale.

 

Il Pd ha perso l’occasione di dichiarare subito senza tentennamenti che la rappresentanza è dei lavoratori, prima che dei sindacati. Ma questa indecisione non e casuale: gli ex Pci hanno ancora in testa l’antistorico sindacato di classe e quindi non sanno far altro che invocare la legge (compreso il giuslavorista di tutte le corti, il Senatore Ichino), mentre gli ex popolari non sanno nulla della teoria fondativa della Cisl e del sindacalismo moderno, quella del grandissimo indimenticabile Mario Romani: il sindacato è associativo o non è; è degli iscritti e non della fantomatica classe.

 

Ecco non la tragedia – quella è della sinistra antagonista – ma la farsa tristissima del Pd: tra neo liberisti scatenati filo padronali, gli esasperati ex classisti sperduti e le persone per bene sprovvedute. Si assiste così al crollo dei già esigui legami con il popolo lavoratore dipendente che è la vera vittima di questa triste vicenda.

 

Si prepari al peggio il maglionato Marchionne, perché senza luce la persona muore e l’individuo anomico può generare mostri. Il Pd, insieme alla Fiom, divide con Marchionne questa terribile responsabilità.

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