La Puglia sembra intenzionata, con la prossima finanziaria regionale, ad abbattere l’Irap per le imprese di nuova costituzione che si insediano nella Regione. In realtà si tratta di un’applicazione della possibilità riconosciuta dal decreto legge n. 78 del 2010, cd. manovra estiva, che l’ha espressamente qualificata come una anticipazione al Sud del federalismo fiscale (con il nuovo decreto sul fisco regionale diventerà presto praticabile anche al Nord).



L’art. 40 della manovra, infatti, dispone, sotto il titolo “Fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno”, che “in anticipazione del federalismo fiscale ed in considerazione della particolarità della situazione economica del Sud, nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, nonché nel rispetto della normativa dell’Unione europea e degli orientamenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’Unione europea, le predette Regioni con propria legge possono, in relazione all’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, modificare le aliquote, fino ad azzerarle, e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei riguardi delle nuove iniziative produttive”.



È importante richiamare questa disposizione perché fornisce un esempio concreto di come il federalismo non possa intendersi contro il Mezzogiorno. E vale ulteriormente a smentire i molti che invece non perdono occasione per praticare una sorta di tenace “terrorismo” informativo nei confronti del federalismo fiscale, propinando spesso versioni del tutto falsate del concreto processo di attuazione in corso. La circostanza sembra anche smentire quanti avevano sostenuto difficile pensare che le Regioni del Mezzogiorno – tanto più dopo i tagli previsti dalla manovra – avrebbero avuto risorse per avviare una concorrenza fiscale nei confronti delle altre aree per attirare nuove iniziative.



Il federalismo fiscale anche in questa occasione si dimostra come un processo solidale, idoneo a tutelare imprese e cittadini dai possibili sprechi e inefficienze: stabilisce possibilità nuove che, una volte previste, diventano percorribili. Da questo punto di vista – tutela dei cittadini e delle imprese da sprechi e inefficienze – va ricordato che la scorsa settimana il Governo ha anche approvato il decreto legislativo sul fallimento politico, una misura dall’alto valore simbolico, oltre che operativo.

L’introduzione della misura tuttavia, a fronte di un generale apprezzamento dell’opinione pubblica, ha suscitato la decisa reazione di alcuni Governatori. Proprio Nichi Vendola ha definito questa misura come radicalmente incostituzionale. È utile cogliere l’occasione, anche in questo caso, per chiarire. Il decreto prevede che il fallimento politico del Governatore scatti quando questo, nominato Commissario ad acta per risanare i bilanci regionali della sanità: a) non presenta il previsto piano di rientro o non ne rispetta, immotivatamente, gli obblighi; b) non raggiunge gli obiettivi del piano di rientro, con conseguente grave perdurare del disavanzo sanitario; c) incrementa per due anni consecutivi ai suoi cittadini l’addizionale Irpef al livello massimo previsto dal nuovo decreto sul fisco regionale (3%).

Nell’ipotesi che si realizzino congiuntamente tutte queste tre condizioni, il Governo deve automaticamente proporre al Presidente della Repubblica, sentita l’apposita commissione parlamentare, la rimozione del Governatore per grave violazione di legge ai sensi dell’art. 126 della Costituzione. Si deve, quindi, trattare di un Presidente di Regione che, per comportamenti omissivi a lui addebitabili (non c’entra quello che hanno fatto i predecessori), scarica pesantemente sui contribuenti regionali il peso della propria inefficienza.

 

È incostituzionale prevedere la rimozione di un Presidente che tiene questo comportamento? Bisognerebbe invece permettergli di continuare il massacro fiscale dei cittadini regionali per alimentare sprechi e inefficienze? Tutta la Costituzione italiana ruota intorno ai principi di responsabilità e di buona amministrazione e qualifica il dovere tributario – in nome di altissimi valori, che non sono certo quelli inerenti a sprechi e inefficienze – come dovere inderogabile di solidarietà. È quindi tutt’altro che incostituzionale prevedere il fallimento di un politico che si dimostri gravemente inadeguato. Si rompe un tabù e si introduce un simbolo che segna una svolta storica rispetto a certi radicati malcostumi del nostro sistema, in nome di un sacrosanto principio di responsabilità.  

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