La mattina del 14 luglio del 2008 Ottaviano Del Turco, presidente della Regione Abruzzo, viene arrestato nella sua abitazione con l’accusa di aver favorito alcune cliniche private. Dopo 18 mesi quelle che erano state definite “prove schiaccianti” si sciolgono come neve al sole. «L’assurdità dell’accusa non mi ha mai fatto dubitare sull’esito di questa brutta storia, ma senza la mia famiglia e la solidarietà di chi mi è rimasto amico non avrei mai potuto rimanere sereno – dice Del Turco a ilsussidiario.net -. Quello che è successo mi ha mostrato l’assurdità del modello processuale e penale del nostro Paese. Un sistema che si regge sull’evidente prevalenza del ruolo dell’accusa e con la difesa sempre destinata a rincorrere».



Com’è possibile riequilibrare il rapporto tra politica e giustizia in Italia?

Da tempo ci troviamo davanti a un conflitto di poteri irrisolto. È giusto difendere l’autonomia della giustizia, ma lo stesso dovrebbe valere per la politica. Nel nostro Paese sono venuti a mancare gli argini, i limiti naturali dei poteri. Nel mio caso non si è solo distrutta una carriera politica, ma si è messo in discussione e smentito il libero voto di un popolo che mi aveva eletto Presidente dell’Abruzzo con il 60% dei voti. E vorrei ricordare che la Regione è un organismo costituzionale, non un Consiglio di amministrazione.



È un problema democratico prima di tutto?

Certamente, basti pensare che in Puglia, Campania, Calabria e Abruzzo, come si è visto, la magistratura ha avuto, o ha tentato di avere, un ruolo non secondario, una funzione attiva nella scelta di chi poteva e di chi non poteva essere candidato. In alcuni casi si sono attivati dei procedimenti, in altri i procedimenti sono stati messi da parte.

Si riferisce al caso di De Luca, che una parte della sua coalizione considerava “non candidabile” e che è stato riabilitato alla fine dallo stesso Di Pietro?

 

Certo, ma dal mio punto di vista è normale che De Luca si possa candidare, visto che fino a prova contraria è innocente e in generale è intollerabile che non possa farlo chi è indagato. Per questo dico che la conversione di Di Pietro alla democrazia non deve impressionare. Se definiamo “svolta” la scelta del Presidente di un partito che ha l’8% di obbedire a un dettato costituzionale, significa che prima stava al di fuori della Costituzione.



 

 

Non crede proprio a questo improvviso garantismo?

 

Non bisogna confondere il garantismo con le necessità della politica e con il vecchio vizio della classe politica meridionale, l’opportunismo. Vede, in Italia ci sono due famiglie di garantisti: la prima alla quale appartengo, pensa che la presunzione di innocenza valga per tutti, anche per gli avversari. Poi c’è una seconda famiglia che riserva la solidarietà garantista solo ai propri amici. Io sono garantista anche riguardo a ciò che è uscito ultimamente su Di Pietro e penso che essere liberali con Di Pietro sia la migliore lezione di democrazia che si possa offrire al Paese.

 

 

Come giudica il rafforzamento dell’alleanza tra Di Pietro e il suo ex partito, il Pd?

 

Sono sbalordito, spero che possa sopravvivere a questo errore perché sono convinto che sia una mossa sbagliata. L’abbraccio con Di Pietro però non è figlio di un destino cinico e baro, ma è una scelta politica basata sulla consapevolezza che l’apparato militante è molto più affascinato dalla scorciatoia giustizialista di Di Pietro che dalla complessità politica delle cosmogonie dalemiane. Comunque non è più il mio partito per essendo uno dei 45 fondatori, da quando ho potuto constatare che gli altri 44 sono i “garantisti” della seconda famiglia.

 

 

Lei credeva nella vocazione maggioritaria del Pd di Veltroni?

 

 

Sì, condividevo questa linea: la ricerca del dialogo con tutti coloro che avevano come elementi fondanti della propria cultura politica l’economia, le solidarietà sociali, la sicurezza e il garantismo giudiziario. Su Veltroni però confermo il mio giudizio umano e politico: è il “capo dei vili”. Sapeva benissimo che stavamo sistemando la sanità, ma ha preferito fingere di credere che sperperavamo i soldi dello Stato. Quando alla Camera incontro quelli come lui avverto un disagio evidente, ma la ragione della loro militanza è solo quella del “Primum vivere”. Sono figli di Pajetta che nel Pci del 1957, dopo aver scoperto i crimini di Stalin disse: “Tra verità e rivoluzione preferisco la rivoluzione”, anche se parlare oggi di rivoluzione mi sembra eccessivo…

 

 

Se questo è il suo giudizio sul Pd, potremmo vederla in un futuro prossimo nel Pdl?

 

Non ho fatto valutazioni di questo tipo, per questo ci vorrebbe la mia disponibilità e quella di altri. Per il momento sono un socialista apolide, senza patria.

 

 

Recentemente però ha ricevuto la solidarietà di Silvio Berlusconi…

 

Certo e ne sono molto orgoglioso. È uno che sa parlare alla gente, mentre gli altri al massimo si rivolgono a un migliaio di funzionari.

 

 

Tornando alla giustizia condivide le proposte del Governo: dal processo breve al legittimo impedimento al Lodo Alfano bis?

 

 

Guardi, se dopo 18 mesi non ho ancora capito con precisione di cosa sono accusato significa che un problema c’è e penso che sia una iniquità chiedermi se sono favorevole al processo breve (ride). Scherzi a parte questi provvedimenti li condivido in pieno.

 

 

Da ultimo, lei è stato presidente della Commissione Antimafia, cosa pensa delle ultime dichiarazioni di Massimo Ciancimino secondo cui Forza Italia sarebbe il frutto della trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra?

 

Sinceramente ho provato vergogna accendendo la Tv nel vedere l’esibizione di questo ragazzo elevato a oracolo che mostra lettere grottesche (“A Silvo Berlusconi”) e racconta storie di un padre che non c’è più e che non può più testimoniare. Stranamente non gli si chiedono fatti, ma opinioni e ricostruzioni di fantasia, in un processo che dovrebbe vertere invece su eventuali connivenze dei Ros e la mafia.
Purtroppo non riusciamo a uscire dalla guerra civile e continuiamo a cercare l’eliminazione degli avversari politici per via giudiziaria. Di conseguenza dobbiamo sopportare il fatto che ciclicamente saltino fuori personaggi di questo tipo: prima Cancemi, poi Spatuzza… oggi è il turno di Ciancimino Junior.

(Carlo Melato)