L’animata discussione sulla par condicio e la definizione delle ultime candidature ci proiettano nel bel mezzo della campagna elettorale per il voto delle Regionali di fine marzo. Si assiste all’inevitabile scontro tra gli schieramenti, ma ancor di più a quello tra alleati e tra le correnti interne agli stessi partiti, mentre sullo sfondo suscitano apprensione le nuove inchieste giudiziarie a carico dei vertici della Protezione Civile. Peppino Caldarola ha discusso con ilsussidiario.net i temi più caldi della politica italiana.

Nel centrosinistra Pd e Idv hanno trovato un accordo sulle candidature più problematiche, come quella di Vincenzo De Luca in Campania. Qual è il dato politico di quella che è stata definita la “svolta di Salerno” di Di Pietro?



Il congresso dell’Italia dei Valori ha segnato una vittoria netta di Di Pietro sui suoi oppositori espliciti o latenti e un mutamento di linea su una questione fondamentale: la presenza nelle liste di inquisiti e processati. Appoggiando Vincenzo De Luca l’ex pm viola uno dei principi cardine del partito, rompe un tabù aprendo una frattura all’interno dell’area giustizialista. Il leader dell’Idv ha capito che il mondo politico-giornalistico che lo aveva sempre appoggiato non si fidava più di lui e così ha preferito rimanere fedele ai suoi apparati piuttosto che ascoltare le richieste dei vari Grillo e Travaglio.



Cosa intende?

Di Pietro, al di là della propaganda giustizialista, ha un’anima concreto-governativa. L’ex pm ha costruito un partito personale con gli avanzi di altri partiti e a questa realtà deve dare soddisfazione occupando assessorati e presidenze.
Difficile dopo questo cambio di rotta tornare indietro anche perché, dovendo pagare le conseguenze di questa scelta, cercherà di lucrarne i vantaggi, aprendo a candidati che hanno molti voti e magari qualche pendenza penale. L’area culturale di cui parlavamo prima adesso dovrà deciderà cosa fare.

Potrebbe essere De Magistris il nuovo cavallo su cui puntare?



De Magistris ha tenuto un atteggiamento opportunistico nei confronti dell’Idv: si è fatto eleggere in un partito nel quale però non ha voluto iscriversi e ha sperato in un incarico senza pagare il prezzo della militanza. Evidentemente ha sempre percepito la sua partecipazione a un partito che porta il nome di un altro pm come un vestito stretto. Oggi deve decidere se rimanere in seconda linea o cercare altri lidi, come tra l’altro ha già iniziato a fare, con gli appelli a Nichi Vendola. Il 27 di questo mese, comunque, il nuovo appuntamento del popolo viola ci permetterà di capire come sono cambiati gli equilibri nel mondo giustizialista e della sinistra radicale.

Un appuntamento che potrebbe rimettere il Pd nei guai evidenziando gli stessi nodi irrisolti del “No B Day”…

Certamente, anche se alcune cose sono cambiate. Se da un lato Bersani può essere contento di questa divisione interna ai giustizialisti, dall’altro rischia di ritrovarsi come alleati due soggetti di questo tipo. Al di là della “svolta” l’Idv rimane un partito affascinato dalle manette esattamente come prima, mentre Sinistra e Libertà abbracciando De Magistris potrebbe prendere delle posizioni che per ora aveva rifiutato. Ma le novità riguardano anche il fronte interno al Pd. 

A cosa si riferisce?

La nascita della nuova fondazione di Walter Veltroni e Michele Salvati ci dice che è finita l’esperienza della minoranza compatta contro Bersani. Si scompone in pratica l’opposizione interna ed emerge una minoranza con una linea politica più precisa rispetto a quella confusamente rappresentata da Franceschini. Veltroni si presenta come l’erede del partito a vocazione maggioritaria, del partito delle primarie  ed esprime un’opposizione con un contenuto, con la quale diventa più facile discutere o litigare. 

Alla luce di questi nuovi equilibri come si presenta il centrosinistra all’appuntamento delle regionali? Quale risultato potremmo aspettarci e con quali conseguenze?

Le elezioni regionali non saranno la caporetto del Pd e del centrosinistra. La tenuta delle “regioni rosse” e la probabile vittoria nelle Marche e in Liguria possono garantire un discreto risultato. In più Nichi Vendola e Mercedes Bresso hanno buone possibilità di vincere in Puglia e Piemonte, a differenza di Emma Bonino nel Lazio. Un risultato complessivo di questo tipo dovrebbe escludere la possibilità di drammatiche rese dei conti interne, riaprire il dialogo tra Pd e Udc e garantire relativa stabilità all’ultima parte della legislatura, a vantaggio, tra l’altro, delle riforme.

Sul tema delle riforme le prese di posizione contro l’immunità parlamentare di Franceschini e Bersani non sono forse un passo indietro in questo senso?

Il no all’immunità di Franceschini è in realtà diverso da quello di Bersani. Se il primo è ideologico, il secondo è il rifiuto di un provvedimento a se stante, nel quadro di riforme complessive invece si potrà tornare a discuterne. Non a caso Violante pochi giorni fa rilanciava il tema dell’immunità collegandolo a una nuova legge elettorale. Difficile infatti pensare all’immunità in un Parlamento di nominati.

Quale potrebbe essere quindi la road map delle riforme? Da cosa partire?

 

Sarebbe bene partire da ciò che è più facile e su cui una convergenza c’è già: la riduzione del numero dei parlamentari e il nuovo ruolo del Senato. Dopodiché sarà più facile pensare a una nuova legge elettorale. A quel punto un Parlamento maggiormente responsabile rispetto agli elettori potrà reintrodurre l’immunità. Questa è la road map, anche perché l’approvazione del legittimo impedimento, norma transitoria con una durata di 18 mesi, dovrebbe garantire il tempo necessario per raggiungere questi obiettivi.

Passando alla notizia di questi giorni: il capo del Dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso è al centro di un’inchiesta delicata. Qual è il suo giudizio in merito?

Per quanto mi riguarda, da garantista, Bertolaso è innocente fino a prova contraria. La Protezione civile si è dimostrata estremamente efficiente nelle situazioni di emergenza: dai rifiuti di Napoli al terremoto in Abruzzo. Detto questo è ora di discutere approfonditamente il “modello Bertolaso”, il modello americano che potremmo definire degli “zar”: personalità a capo di agenzie molto snelle che intervengono nelle emergenze.  Se però nel sistema americano ci sono dei sistemi di controllo, nel sistema italiano questi sistemi sono assenti. Da noi questi “zar” rispondono solamente al Presidente del Consiglio. Il nodo è  proprio questo: se si crea una situazione di eccezionalismo nel governare non solo l’eccezionalità, ma anche la normalità, è ovvio che poi l’unico controllo lo esercita il potere giudiziario.