Il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, coinvolto in un’inchiesta giudiziaria sugli appalti del G8, nonostante le richieste dell’opposizione, per ora rimane al suo posto. Le sue dimissioni sono infatti state rifiutate dal premier, Silvio Berlusconi. Lo scontro non sembra però destinato a placarsi e accompagnerà questo ultimo mese che ci divide dalle elezioni regionali. Stefano Folli, editorialista de Il Sole 24 Ore, ne ha discusso con ilsussidiario.net.
L’inchiesta che coinvolge la Protezione Civile, al di là delle conseguenze giudiziarie a cui giungerà, sta mettendo in discussione il “modello Bertolaso”. Lei cosa ne pensa?
Guido Bertolaso ha segnato una fase molto importante e positiva della Protezione Civile italiana. Ha creato un modello che è stato studiato anche all’estero per la sua efficacia. Allo stato delle cose rimane un servitore dello stato che ha commesso dei peccati di stile, si è mosso con una certa spregiudicatezza se vogliamo, ma è ancora da dimostrare che abbia commesso dei reati. Non penso che il suo modello sia da mettere in discussione per quanto riguarda la gestione delle emergenze. Nella gestione dei grandi eventi è chiaro invece che non si possa prescindere dai controlli.
Nelle sue risposte alle “dieci domande” di Repubblica Bertolaso ha chiamato in causa il Presidente Napolitano. Pensa che si sia fatto scudo in maniera impropria del Presidente della Repubblica, come sostengono molti commentatori?
Anche se ha fatto bene a rispondere, questo è proprio uno di quegli errori di stile a cui facevo riferimento prima. Non bisognerebbe tirare per la giacca il Presidente su un tema decisamente scivoloso come questo. Ora è bene che l’inchiesta proceda celermente per evitare che vada perso anche ciò che di buono c’è nell’esperienza della Protezione Civile.
Il fatto che sia coinvolto Denis Verdini, coordinatore del Pdl, fa fare un “salto di qualità” a questa inchiesta?
È decisamente troppo presto per giungere a queste conclusioni. Oggi c’è solo un mare di intercettazioni che coinvolgono diversi nomi del centrodestra e del centrosinistra, resta però ancora da capire dove finisca il fumo e inizi l’arrosto. Certo, mantenere una posizione garantista non significa chiudere gli occhi.
A questo proposito, secondo lei è normale che questo “mare di intercettazioni” a cui faceva riferimento sia ormai a disposizione di tutti, anche quando non ci sono implicazioni penali?
Occorrerebbe su questo una norma più precisa e una maggiore selettività delle informazioni, in primo luogo per offrire un servizio migliore ai cittadini. È giusto che chi indaga abbia a disposizione tutto il materiale. Il fatto che però, parallelamente, venga dato in pasto all’opinione pubblica senza alcuna selezione porta solo alla confusione. Non è il caso di insabbiare, soltanto di dividere ciò che è rilevante da ciò che non lo è.
Perché, secondo lei, a un mese dalle elezioni regionali ci ritroviamo di nuovo a discutere di scandali, come del resto facciamo ininterrottamente da qualche anno?
Questa situazione è in effetti deprimente. Tra le cause, a mio avviso, c’è questo clima perenne di delegittimazione reciproca e il fatto che la politica sembra davvero incapace di risollevarsi. A questo si aggiunge il conflitto aperto e irrisolto tra politica e magistratura e una continua promessa di riforme puntualmente delusa. Questo Paese ha un bisogno disperato di legittimazione reciproca tra le forze politiche e serie riforme, non per tagliare le mani ai magistrati, ma per riequilibrare i poteri. Oggi invece da un lato si minacciano riforme punitive nei confronti della magistratura, dall’altro sulla strada delle riforme non si arriva ad alcun risultato.
L’inchiesta di cui abbiamo parlato prima e alcuni fatti recenti, come l’arresto per tangenti di un consigliere comunale a Milano, fanno sì che si torni a parlare di una “nuova tangentopoli”. È un’esagerazione?
Le differenze tra i due periodi, come ha detto Gianfranco Fini, sono sostanziali. Certamente però la vicenda del consigliere Pennisi a Milano è devastante per la politica, soprattutto per i contorni con i quali si delinea. Penso anche che per il centrodestra potrà avere degli effetti negativi a livello elettorale.
L’opposizione potrà farsi forte di queste vicende in vista delle Regionali?
Per quanto riguarda il caso Bertolaso mi sembra che l’opposizione sia stata presa in contropiede, anche perché stiamo parlando di una personalità bipartisan. Il fatto che sia stata stralciata la norma sulla Protezione Civile Spa è stata dipinta dal Pd come una vittoria, anche se sembra casuale e insperata. Non si erano levate infatti critiche in tempo utile a questo provvedimento. Ancora una volta, in pratica, l’opposizione è andata a rimorchio della magistratura che ha smosso le acque della politica.
Come possono incidere, sempre in vista di questo appuntamento elettorale, gli ultimi fatti degni di nota, come il passaggio di Paola Binetti dal Pd all’Udc?
L’uscita di Paola Binetti dal Pd non stupisce perché è la continuazione di un processo di fuoriuscita dei cattolici avviato da tempo. Conferma invece che il Pd non è quello che diceva di essere alla nascita. La linea di Bersani, rispetto a quella delle origini, sembra più pragmatica e realista, anche se forse pecca di innovazione e creatività sul piano dei contenuti. Detto questo, il Pd si prepara a un buon risultato. Probabilmente dopo questa tornata la mappa delle regioni del Paese sarà divisa in parti uguali tra i due schieramenti.
L’Italia dei Valori è stata invece protagonista della cosiddetta “svolta di Salerno”, l’appoggio in Campania di un candidato non immune da inchieste giudiziarie come De Luca. In Puglia invece Di Pietro ha annunciato la candidatura di un magistrato direttamente coinvolto nelle inchieste a carico dell’avversario politico, Raffaele Fitto. Come giudica politicamente questi due episodi?
Candidare un magistrato nel luogo in cui ha esercitato la propria giurisdizione è un fatto grave che dà il senso di un decadimento del costume e della cultura politica in Italia. Il buon gusto dovrebbe impedire ciò che la regola, purtroppo, non impedisce. La “svolta di Salerno” è invece stata dettata dall’opportunismo politico e dal compromesso con il Pd. Non è certamente una svolta garantista.
Se il Pdl sicuramente non è favorito dalle vicende che occupano le prime pagine dei giornali di questi giorni, i fatti di via Padova, nel cuore del territorio caro alla Lega Nord mettono in discussione i proclami e i programmi del Carroccio?
L’imbarazzo della Lega per i fatti di via Padova mi sembra evidente, anche a livello simbolico. L’atteggiamento molto prudente e istituzionale di Bossi e Maroni, attenti a isolare le voci più maldestre ed estremiste del partito, è comunque un buon segnale di cautela e realismo politico. Il problema dell’integrazione non si risolve con gli ultimatum e i proclami. Su questo terreno però la sinistra non sembra proprio in grado di recuperare terreno nei confronti del centrodestra.