«Che sta pensando quiz», era il tormentone di una vecchia trasmissione, ricorderete. Ecco, che cosa sta pensando Silvio Berlusconi per il suo partito del futuro? Chi fa cosa, e lui stesso che cosa si candida a diventare, dopo le Regionali, nel secondo scorcio di legislatura che da sempre si profila più tormentato e agitato? Ognuno disegna scenari, raccoglie sfoghi privati del Cavaliere, alle prese con un’indigestione da listini che avrebbe preferito evitarsi. Ma invece gli tocca, in un partito “leggero” finché” si vuole, ma che i nomi alla fine – e sono tanti in queste ore quelli in ballo – li deve pur fare.



In realtà, chi guarda da vicino, ma con più disincanto, le mosse di Berlusconi spiega che, in realtà, lui si sta giocando la tripla.

Uno: un nuovo “predellino”, nuova chiamata a raccolta per sparigliare i «gruppi di potere» (come lui stesso li ha definiti), della serie: chi ci sta ci sta. E via, in tal caso, con un coordinatore unico nella convinzione che l’attuale sistema elettorale renda temeraria la corsa solitaria fuori dal partito guida nel ruolo in cui già Bossi è insediato stabilmente. O addirittura impossibile quella fuori dalla coalizione, dove già Casini (non essendo stato annientato, come Rifondazione) presidia il territorio di mezzo usufruendo di una rendita di posizione sul partito degli altrimenti astensionisti.



Due: Un patto a due con Gianfranco Fini per coprirsi le spalle con il Quirinale e la Consulta, visti i precedenti, e gestire insieme uno sbocco “istituzionale” per il suo impegno politico, immaginando di piazzare Gianni Letta o sé stesso al Quirinale. Ics, infine: tutto resta tale e quale, con tre coordinatori Verdini, Bondi e La Russa, al massimo con un maggiore coinvolgimento dei finiani-finiani (Italo Bocchino) e del gruppo di Rete Italia, che vanta ampi riferimenti nel governo e nella base del partito, ma non altrettanto nel gruppo dirigenziale, fatta eccezione per Bondi, che però appare in questo momento un po’ stretto fra lo strapotere di Verdini e il potere di veto di La Russa.



 

In realtà, però, tutto dipenderà dall’esito elettorale e Berlusconi per il momento utilizza queste contraddizioni/contrapposizioni interne come sprone a tutti per vedere quanto valgono davvero. E, al riguardo, tutto lascia presumere che al di là delle manchevolezze del Pdl e degli affanni dell’azione di governo, le manchevolezze organizzative ben più gravi sul fronte opposto saranno in grado di assicurare un risultato più che soddisfacente. Un centrosinistra dilaniato in Campania, Puglia e Calabria sembra proprio voler regalare il successo al centrodestra, che pure non ha brillato nelle Regioni del Sud nella scelta dei candidati, tanto che – dicono – Berlusconi stesso se ne sia lamentato.

E anche nel Lazio la Bonino, in grado astrattamente di erodere voti nel terreno altrui solo evocando il suo impegno come commissario europeo designata dal governo Berlusconi, con questo suo repentino ritorno all’immaginario e alla ritualità stucchevole dei Radicali non solo manda in bestia i già riluttanti, residui, dirigenti cattolici del Pd ma allontana anche una robusta quota dell’elettorato, cui pure tentava di ammiccare dai manifesti e dalle fiancate degli autobus, con l’efficace scritta «Ti puoi fidare» sotto il suo faccione rassicurante.

Ma se andasse così come sembra nel Centro-Sud, resterebbe solo da verificare la tenuta percentuale del centrodestra nella golden share lombardo-veneta, e forse forse potrebbe anche non nuocere tanto a Berlusconi la sconfitta in Piemonte – per niente scontata, in realtà, vista l’ostilità dell’associazionismo cattolico per la Bresso – sì da non far montare troppo la testa alla Lega. E un 6 a 7 a fronte dell’attuale 2 a 11 sarebbe già un successone, tenendo conto della popolazione delle sole Lazio, Campania e Lombardia.

In attesa dell’esito ognuno conta le sue truppe: di Rete Italia si è detto, poi il gruppo di Frattini, i fedelissimi di Verdini, quelli di Fini e quelli di La Russa e Gasparri, per non dire degli ex Dc Rotondi e Pionati che starebbero meditando (con altri parlamentari di area scontenti) di fare gruppo a sé in Camera e Senato, naturalmente federato al centrodestra, sul modello della Lega.

E allora come in ogni tripla che si rispetti, l’ics (con conseguente conferma dell’attuale assetto per il Pdl) resta l’ipotesi più probabile. Tenendo anche conto di una curiosità di cui nessuno si è accorto: modificare lo Statuto del Pdl sarebbe possibile da parte dell’Ufficio di Presidenza fino al 29 marzo («entro dodici mesi» dall’approvazione dello Statuto) che poi è il secondo giorno di voto per le Regionali.

Mentre già a volerlo fare il giorno dopo, sarebbe necessario convocare un congresso con tutta la mole organizzativa che ne consegue. D’altronde tutte le ultime scelte, dall’esclusione dei corrotti dalle liste al minore ricorso ai voti di fiducia, sembrano accreditare un Pdl ultimamente posizionato più su un asse Berlusconi-Fini che sul primo in splendida solitudine. Ma il Cavaliere non è quello delle programmazioni a lungo termine, avvertono tutti gli studiosi del fenomeno. E l’uomo sembra fatto apposta per far perdere le scommesse a chi azzarda pronostici su di lui.