Dopo una lunga fase nella quale ha tenuto banco la scelta dei candidati per le regionali all’interno degli schieramenti torna in primo piano il tema della giustizia. L’“operazione scudo giudiziario” è infatti iniziata e non mancherà di infiammare ancor di più la campagna elettorale dei prossimi due mesi. Peppino Caldarola analizza per ilsussidiario.net i nodi politici che dovranno essere sciolti da qui al 28 marzo e gli scenari che si potrebbero aprire dal giorno dopo le elezioni regionali.
La Camera ha dato il via libera, tra le polemiche, al legittimo impedimento. Circola l’ipotesi secondo la quale i due schieramenti potranno però trovare un’intesa sull’immunità parlamentare dopo le regionali. La ritiene credibile?
Penso di sì, anche alla luce delle dichiarazioni favorevoli del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino. L’immunità parlamentare è un tema controverso, che però ha molti proseliti anche nel centrosinistra. Non dimentichiamo che Franca Chiaromonte e Luigi Compagna, entrambi del Pd, hanno presentato una proposta interessante in questo senso. Non ci saranno invece accordi sul processo breve e il legittimo impedimento. La maggioranza, con i numeri a sua disposizione, non ne ha bisogno.
Se la maggioranza riuscisse a ottenere lo “scudo giudiziario” e il risultato delle regionali non fosse destabilizzante per il Pd la legislatura potrebbe concludersi in un clima diverso, all’insegna delle riforme?
Il fatto che dopo le Regionali avremo davanti a noi tre anni senza appuntamenti elettorali aiuterà sicuramente ad abbassare la tensione. Non credo, tra le altre cose, che il Pd andrà incontro a un risultato disastroso. Ha ottime possibilità di tenersi strette le “regioni rosse” e di spuntarla almeno in una regione tra Piemonte, Puglia, Lazio e Liguria.
Il Pdl, inizialmente dato per favorito, sembra non essere in grado di approfittare degli sbandamenti degli avversari e per la prima volta Berlusconi si ritrova delle candidature che in qualche modo gli sono state imposte. Cosa sta succedendo nel Popolo della Libertà?
In parte, anche all’interno del partito, si inizia a ragionare in ottica post-berlusconiana cercando di strutturare il partito, anche se il dato interessante è il mutamento dei rapporti tra Berlusconi e Fini. Tra i due per mesi ha tenuto banco una lunga fase di scontro, oggi sono alleati contro quello che viene definito il “correntone doroteo”.
Cosa intende?
Mi riferisco a quel notabilato classico di partito che comprende La Russa, Gasparri, Verdini e dirigenti locali come Fitto. Questa corrente ha chiesto e ottenuto un margine di manovra maggiore sulla scelta delle candidature, senza risparmiare critiche nei confronti di Fini e di Berlusconi. Berlusconi si è concentrato sugli impegni di governo e ha lasciato fare, di conseguenza Fini è riuscito soltanto a candidare la Polverini nel Lazio, mentre il premier si ritrova senza un candidato totalmente suo.
Il premier affronterà comunque la campagna elettorale in prima persona o lascerà al proprio destino i candidati a lui più lontani, preparando magari una resa dei conti con i “dorotei” in caso di sconfitta?
Berlusconi a mio parere si spenderà sia al Nord, che in Campania, Calabria e Puglia. In caso di sconfitta i potentati locali ne pagheranno le conseguenze. Teniamo presente che a differenza di qualche tempo fa in Puglia Vendola è favorito sul candidato voluto da Fitto. In Campania De Luca, detto il “leghista del Pd” in quanto amministratore “legge e ordine” può raccogliere i voti anche dell’elettorato del centrodestra.
In più al Nord il Pdl rischia di essere sorpassato della Lega…
Questo infatti è il nodo cruciale per il Pdl dopo le elezioni. Se la Lega si rinforza ancora può diventare ancora più ambiziosa e autonoma, arrivando a incidere sull’agenda di governo e sulle dinamiche interne al Pdl. In questo caso favorendo l’ascesa di Tremonti.
Quali sono invece i nodi da sciogliere per il Pd?
È segnato da un eccessivo correntismo, come il Pdl. Se nel centrodestra una leadership c’è, nel centrosinistra quella di Bersani tarda ad affermarsi. Dovrà perciò considerare come saranno cambiati i rapporti di forza: la reale consistenza dell’Udc e l’espansione o la contrazione della bolla elettorale giustizialista di Di Pietro e De Magistris. Non dimentichiamoci poi che la vicenda pugliese ha rilanciato la lista Vendola in tutte le regioni, rimettendo in partita la sinistra radicale.
La minoranza interna al Pd è in grado di mettere in discussione la leadership di Bersani?
Il progetto di Bersani ha subito un grave arresto. È mancata una linea centrale forte nella scelta dei candidati e l’allargamento all’Udc, tranne che in Piemonte, è fallito. Detto questo, al momento non ci sono minoranze in grado di offrire ipotesi alternative.
Sembra però una minoranza agguerrita e composita: Chiamparino è stato protagonista di un attacco diretto a Bersani, con la proposta di rifare tutto e di costruire un “nuovo Ulivo”, parallelamente Prodi torna sulla scena…
La realtà è che Bersani non è riuscito a interrompere i processi di sfarinamento. Chiamparino e Cacciari portano avanti questa linea da tempo e tornano a farsi sentire. Escluderei però l’ipotesi di un ritorno in prima linea di Romano Prodi. La corsa alla leadership della coalizione di centrosinistra per le prossime politiche si è ufficialmente aperta. Ecco perché Bersani, pur avendolo escluso in passato, ha voluto precisare di non averci assolutamente rinunciato.
Chi saranno gli sfidanti?
Veltroni, l’unico che all’interno della minoranza Pd ha una strategia, lo stesso Chiamparino e Enrico Letta.
Un altro partito che prima o poi sembra costretto a scogliere le proprie ambiguità è l’Udc…
Più si avvicineranno le politiche e più dovrà decidere la propria collocazione. Alla fine lascerà aperto un solo forno, quello della trattativa secca con il Pd. Anche se Casini continua a rifiutare l’etichetta di “nuova Margherita”, anche a causa del proprio anti-leghismo il suo destino sembra proprio quello.