Evviva. Antonio Di Pietro spariglia, e lascia con un palmo di naso De Magistris e tutti i puri e duri dell’Idv. Giura di volersi lasciare alle spalle il tempo della “sterile protesta”, perché “opposizione si può anche morire”, e di non aver alcuna voglia di invecchiare muovendo aspra guerra a Silvio Berlusconi, sì, ma in realtà aspettando solo che se ne vada in pensione. Dà ragione a Pier Luigi Bersani: un’opposizione che non riesce a farsi alternativa di governo non va da nessuna parte.



Promette pace al Partito Democratico, e lascia intendere che prima o poi entrerà a farne parte, naturalmente con tutta, o quasi, l’Italia dei valori: questo, dice, sarebbe il “Paradiso”, anche se, per adesso, bisogna contentarsi del “Purgatorio”. E dà a tutti un appuntamento storico per la fine della legislatura, nel 2013, quando un’opposizione finalmente unita e rinnovata manderà a casa Berlusconi, e lui, Di Pietro, potrà finalmente ritirarsi a vita privata.



Non mancano, al congresso dell’Idv, perplessità mugugni e mal di pancia per questa svolta, tanto radicale quanto inopinata. Ma il dado è tratto. E Bersani (salutato, al pari di Nichi Vendola, da un’ovazione) non può che abbracciarlo e inneggiare alla nuova unità. Anche perché Di Pietro suggella la sua promessa con un’offerta votiva di tutto rispetto. Fino a un paio di giorni fa il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, era un rinviato a giudizio privo, come tale, della benché minima speranza di essere appoggiato dall’Idv nella corsa (tutta in salita) per la presidenza della Campania. Adesso le cose sono cambiate. Molto cambiate. Di Pietro ci si è tormentato su, assicura, per giorni, poi ha chiamato De Luca a discolparsi davanti al congresso, e a promettere che si comporterà bene. De Luca è andato, si è discolpato, ha promesso. E ha avuto il sospirato via libera.



Il metodo adottato anche in questa circostanza lascia di stucco chiunque abbia un vago ricordo delle procedure democratiche. E anche nell’Idv qualcuno, De Magistris per primo, ha storto il naso di fronte a questo primo, originalissimo caso di “processo breve” in famiglia. Ma senza riuscire a modificare di una virgola l’esito delle assise. Può darsi che Di Pietro dovrà fare i conti con i più riottosi tra i suoi fedeli, per nulla inclini a battere le mani al nuovo corso. Ma questo problema, sempre che davvero esista, è per domani. Oggi c’è da celebrare la svolta. 

Evviva. Peccato che per il Pd, e segnatamente per Bersani e i suoi, le cose siano un tantino più complicate. E non solo perché la prima vittima della svolta in questione sembra essere quell’ipotesi di alleanza con l’Udc che certo aveva subito un colpo durissimo quanto prevedibile nelle primarie pugliesi, ma che tuttavia è rimasta la principale (se non l’unica) indicazione strategica della nuova segreteria per uscire dalle secche della “vocazione maggioritaria” (leggi: dell’autosufficienza) che avevano contrassegnato la stagione veltroniana: una “vocazione maggioritaria”, o se preferite una sindrome da autosufficienza, curiosamente contraddette però, sin dall’inizio, dalla deroga inusitata e improvvida, forse addirittura potenzialmente suicida, concessa da Veltroni nelle elezioni del 2008, proprio all’Idv.

È proprio questo peccato originale che consente adesso a Di Pietro, dopo aver beneficiato per quasi due anni di un forte potere di condizionamento del Pd, di cambiare gioco. Non per autolimitarsi, ma, tutto al contrario, per provare a porsi obiettivi più ambiziosi: per passare cioè, si sarebbe detto un tempo, dalla guerra di posizione alla guerra di movimento. Il suo è certo un colpo di teatro, tanto più clamoroso se si considera che ha preso corpo proprio nei giorni in cui sul capo dell’ex magistrato “più amato dagli italiani” tornavano ad addensarsi, a torto o a ragione, sospetti, polemiche o, più semplicemente, richieste di chiarimenti dettagliati sui tempi della sua particolarissima discesa in campo.

Ma è anche, e verrebbe da dire: soprattutto, la mossa intelligente e meditata di un politico che si dà evidentemente obiettivi più ambiziosi di quello di fare la faccia feroce per lucrare, a costo di dannarsi all’opposizione a vita, qualche puntarello in percentuale al Pd.

 

Assomiglia molto da vicino, questa mossa, a una sorta di Opa su un partito, il Pd, diviso, frastagliato e, quel che è peggio, tuttora privo di qualcosa di simile a un’identità riconoscibile: e a un’Opa lanciata, certo non a caso, quando, complice la scadenza delle regionali, Bersani tocca con mano quanto sia difficile (per non dire di peggio) anche solo cominciare a dargliela. Il segretario del Pd ha sicuramente, a breve, qualche buon motivo (non solo De Luca e la Campania) per essere soddisfatto: la prospettiva di qualcosa di simile a una tregua non può sicuramente dispiacergli.

Ma i motivi di preoccupazione, per Bersani, sono sicuramente di più. Non ci vuol molto a capire che Di Pietro, nel momento vicino o lontano che gli sembrerà più conveniente, non si farà problemi a presentare il conto. E si tratterà, c’è da esserne certi, di un conto salato.