La telenovela del “caos liste” non è ancora terminata e dimostra di poter monopolizzare le ultime settimane di campagna elettorale che ci dividono dalle elezioni regionali. Se il centrodestra sembra ancora intontito dalla vicenda, il centrosinistra rischia invece di dividersi sui toni e i modi con i quali protestare. «Più che l’indignazione mi piacerebbe che coltivassimo le speranze della gente» ha dichiarato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi (Pd). «Io sto con Napolitano senza se e senza ma – ha continuato il sindaco -. Siamo dei leghisti di sinistra ad attaccare il Quirinale». Il Partito Democratico, però, non sembra più in grado di ritirarsi dalla manifestazione di sabato in compagnia di Di Pietro, che nei confronti di Napolitano aveva addirittura richiesto l’impeachment. Pier Luigi Bersani infatti tira dritto, nonostante i consigli di D’Alema, ma – come dice Peppino Caldarola a IlSussidiario.net – rischia di mettersi nei guai.
 
Come si è mosso il centrosinistra davanti a questa vicenda secondo lei?



Aveva iniziato bene la sua partita. Nel primo tempo, rendendosi conto che una consultazione senza Formigoni e Polverini avrebbe falsato il risultato, aveva anche offerto la propria disponibilità a trovare una soluzione condivisa, Di Pietro compreso. Nel secondo tempo, però, ha lasciato emergere tutte le sue contraddizioni, commettendo due gravi errori dopo il decreto interpretativo del centrodestra.

Quali?



Innanzitutto ha lasciato che si incrinasse il rapporto con il Capo dello Stato. Il Presidente Napolitano ha controfirmato il decreto, ma non per questo se ne ha assunto la responsabilità politica.
Il secondo errore è stato quello di costituirsi parte civile nei ricorsi, dando così l’immagine di schierarsi contro la libertà di voto. Sinceramente avrei preferito che il centrosinistra rimanesse fuori dalla contesa giudiziaria e che si limitasse alla polemica politica.

Quali sono i rischi della manifestazione che il centrosinistra ha indetto per la giornata di sabato?

Basta leggere i blog di Beppe Grillo, del popolo viola, o gli articoli di Marco Travaglio per capire che la manifestazione contro gli avversari rischia di tramutarsi in una guerra contro l’arbitro.
Massimo D’Alema, con la sua proposta di dare vita a tante manifestazioni diverse ha provato a togliere benzina dal fuoco, ma la sua idea è stata scartata. Bersani, infatti, in questa occasione ha privilegiato il rapporto con l’opposizione interna di Veltroni e Franceschini per evitare una spaccatura. Il segretario del Pd ora deve sperare che il ricorso alla piazza non si trasformi in un clamoroso boomerang.
 
Cosa intende?



Una manifestazione all’insegna del giustizialismo sarebbe deleteria e potrebbe provocare parecchi mal di pancia al Partito Democratico. Ecco perché ha ragione Renzi: si rischia di regalare il tema del diritto di voto a Berlusconi e si schiera l’intero centrosinistra su una linea sbagliata.

Passando al centrodestra: se il decreto interpretativo non si rivelerà utile a far riammettere la lista Pdl a Roma e provincia dovrà ammettere di aver aumentato la confusione senza ottenere nulla?

Innanzitutto la decisione del Tar di bocciare il ricorso dimostra che, anche quando si parla di “golpe” e di “attacco alla democrazia”, il nostro sistema istituzionale è dotato di una serie di controlli e contrappesi che funzionano bene. Dal punto di vista politico sarebbe invece convenuto a tutti aspettare le decisioni dei Tar, che tra le altre cose hanno dato ragione ai listini Formigoni e Polverini, rimandando eventuali interventi condivisi.

Il sacrificio della lista Pdl nel Lazio poteva essere un giusto compromesso per salvare la situazione?

Probabilmente sì. Nessuna persona seria avrebbe potuto accettare l’esclusione di Roberto Formigoni in Lombardia e di Renata Polverini nel Lazio, anche perché si stava parlando di vizi di forma risibili. Nel caso della lista Pdl a Roma e Provincia invece l’errore era macroscopico.

Questa brutta vicenda lascerà poco spazio alla discussione sui programmi e i candidati?

Sicuramente. Il rischio di una campagna elettorale nazionale era già molto alto, ora queste elezioni assumono ancor di più il significato di un voto politico di medio termine nei confronti del governo. La partita è ancora lontana dal chiudersi e seguirà comunque una lunga coda polemica.

Quanto potrà incidere sulle intenzioni di voto?

A mio parere molto meno di quanto si pensi. In Lombardia non cambierà nulla, nel Lazio potrebbe influire a favore della Bonino, nelle altre regioni invece la situazione mi sembra uguale a prima.
La strada delle riforme condivise che avremmo dovuto imboccare dopo il voto regionale forse però è compromessa.