Francamente, non sono stupito neanche un po’ dal tumulto in atto sulla scena politica italiana. Nel senso che mi aspettavo con ragionevole certezza che ogni Procura italiana avesse nel cassetto intercettazioni e indagini a effetto politico assicurato, e le riversasse puntualmente sul tavolo all’approssimarsi del voto regionale. Da Bertolaso a Di Girolamo alle telefonate di Trani, mi stupirei anzi se fosse finita qui, l’elenco delle nuove cannonate giudiziarie. Non ne sono stupito perché dopo la caduta del Lodo Alfano per decisione della Corte costituzionale, era sin troppo facile immaginare che il tentativo di risolvere “l’anomalia Berlusconi” per via giudiziaria prendesse un’accelerazione conseguente.



Francamente, dirò anche che a mio giudizio siamo entrati in una fase dello scontro Berlusconi sì-Berlusconi no che non lascia più molto spazio per considerazioni ispirate a saggezza istituzionale. Si può benissimo continuare a dire che opposizione e maggioranza dovrebbero astenersi dal darsi addosso accusandosi reciprocamente di eversione e barbarie, che le intercettazioni date in pasto ai giornali sono improprie, come è del tutto inane ridurre la campagna per le regionali a due piazze urlanti l’una contro l’altra. Temo però che sia un esercizio retorico, oggi più che mai. Lo può fare chi spera in politica di accumulare punti dal nuovo abbassamento del livello di confronto – come Casini e Rutelli, e aggiungiamoci Montezemolo per non sbagliare, va – o chi sceglie di fare l’osservatore alla finestra, nel mondo dell’informazione.



Ma temo che pur restando saldamente nel campo degli osservatori – sono risolutamente contrario ai giornali-bastone che Berlusconi si è dato nell’ultimo anno, il problema dei moderati è di non avere un proprio grande Corriere della Sera, non quello di avere un nuovo Popolo d’Italia – sia meglio “sporgersi”, per così dire, usare argomenti e strumenti interpretativi adeguati al caos, invece di mitizzare una normalità che non c’è e non ci sarà.

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Dopo il Lodo Alfano, sarebbe stata ed è battaglia finale, contro Berlusconi. Giocata per intero sulla legalità e sulla moralità. Lo sapeva benissimo il centrodestra, e anche il centrosinistra che con Bersani-mediatore alla testa del Pd si era messo in una posizione di attesa, più che di promozione di nuove linee politiche. L’errore che Berlusconi corre il rischio di pagare caro, dopo le Regionali, è l’essere apparso improvvisamente e drammaticamente non più all’altezza di quella “etica del fare” che agli occhi dei moderati aveva sin qui giustificato anche i suoi innegabili eccessi, a fronte dei disastri fatti dal centrosinistra al governo. Il buco nero delle liste respinte a Roma e Milano non ha solo rivelato un pressapochismo ingiustificabile. Ha anche scoperto una profonda incapacità di valutazione e reazione a ciò che stava concretamente avvenendo.



Lo scontro con il Quirinale sulla prima bozza di decreto respinto, e il secondo decreto che a Milano non serviva e che a Roma si è rivelato inutile oltre che dannoso nell’elettorato, hanno messo in luce un appannamento molto serio. È più che comprensibile che molti moderati vogliano stare a casa, attualmente. Non condividono il moralismo diepetresco e non votano un Pd di cui ancora non si capisce nulla. Ma avvertono che dietro l’appannamento di Berlusconi si è mostrata una macchina-partito fatta di molti incapaci e non pochi profittatori, oltre che di modesti leader locali che hanno spesso indicato candidati presidenti che perderanno, pur di non perdere il controllo del Pdl locale. Se Silvio avesse capito al volo che bastava ricoprire l’Italia di manifesti giganteschi riproducenti le firme annullate a Formigoni e accettate a Penati, con le stesse identiche irregolarità formali per le quali nel primo caso in Corte d’Appello a Milano si era detto no ma alle seconde si era detto sì, le cose sarebbero andate diversamente. In altri tempi, Berlusconi avrebbe avuto il guizzo. Ora è mancato. Non voglio dire poi dell’autogol della sospensione dei talk televisivi in campagna elettorale: a destra dovrebbero sapere che accanirsi sull’avversario gli regala voti, come è successe tante volte a vantaggio di Berlusconi.

 

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Il centrodestra si è così inoltrato su un sentiero che lo porta a perdere pezzi di proprio elettorato. Nel Nord, i flussi andranno a tutto vantaggio della Lega, che rischia il successone anche dove il suo candidato presidente non dovesse vincere, come in Piemonte. Nel resto d’Italia, la diatriba con Fini è parte del problema, e non bisogna aspettarsi certo da Fini altro che una sua radicalizzazione, all’indomani di un risultato elettorale che suonasse allarme rosso per la tenuta di Silvio.

La situazione è questa. Per chi ha in mente che moderati e centrodestra si identifichino solo in Berlusconi, non si tratta che di sperare nell’ennesimo miracolo che Silvio riserva spesso quando tutti lo danno fuori dal ring. Per gli altri, massime per chi ha in mente che esista un problema di rappresentanza seria di un modello di buona gestione amministrativa che da tre legislature in Lombardia ha fatto vedere di che cosa fosse capace senza per questo risolversi né in Berlusconi né in Bossi, c’è un altro problema. Quello di metter mano da subito, all’indomani delle Regionali, a un modulo di rappresentanza proprio. Per non finire ridotto e triturato in un Ok Corral centrato sul “dagli al puzzone”.