Berlusconi torna in piazza. Cosa ci dobbiamo attendere? Un «predellino due»? Chi non ricorda il predellino uno, quando il Cavaliere, in una situazione di stasi, sentì il bisogno di tornare in piazza, chiamare a raccolta il popolo e lanciare ciò che sarebbe diventato, di lì a poco realtà, il Pdl, il Popolo delle libertà? Non a caso volle chiamarlo così: se potessimo esprimerci in termini economici certamente il core business della politica di Berlusconi in questi sedici anni è sempre stato il popolo ed il suo rapporto personale con esso.



Questo è stato indicato da tutti, anche da coloro che rosicano, come la grande forza politica di Berlusconi stesso, la sua forza popolare. Ha sempre creduto che prima del cosiddetto ancoraggio territoriale (quello che vorrebbe un partito tradizionale radicato nel territorio con un’articolazione di sedi, contro sedi, circoli e contro circoli) ci volesse quello che lui stesso ha chiamato ancoraggio nelle menti e nei cuori dei cittadini. Ci vide giusto a fine ’93 e la storia gli dette ragione il 27 marzo del 1994, quando il suo neonato partito si impose come primo partito italiano. C’è chi ha criticato molto questa scelta, anche all’interno del centrodestra. C’è poco partito, hanno detto da più parti. Berlusconi ha il consenso ma non ha il partito. Berlusconi raccoglie i voti ma non li trasforma nella capacità di governare. Sarebbe lunga la discussione su queste critiche. Il fatto rimane che il consenso raccolto attraverso la leadership del Cavaliere non ha eguali né a destra né, tantomeno, a sinistra.



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Il Cavaliere per raccogliere consenso non ha bisogno di mettere insieme, e non ha mai avuto bisogno di farlo, una coalizione simile a quella fallimentare di Romano Prodi. Non ha mai dovuto fare un’accozzaglia facendo i calcoli su quanti voti avrebbero portato i verdi, i comunisti italiani, i rifondaroli, i cattolici, i non cattolici, eccetera. Ha sempre contato, al contrario, sulla sua personale leadership capace di indicare un programma condiviso dalla maggioranza dell’elettorato. Questo lo si vide bene anche nelle elezioni del 2006 dove, nonostante una tardiva discesa in campo, sua personale, riuscì a risalire la china fino a perdere per pochissimi voti. Vinse Prodi ma l’accozzaglia che lo fece vincere lo fece anche morire.



Da tempo si nota l’insoddisfazione del Cavaliere per come stanno andando le cose. Evidentemente sente che si sta creando una divaricazione tra la coalizione di centrodestra e il popolo e sa anche che questa divaricazione non la può colmare che lui. Per questo l’ipotesi di una discesa in campo ulteriore è un’ipotesi fondata. Perfino l’ipotesi che il Cavaliere abbia in mente un qualcosa, magari anche un soggetto politico nuovo, che scompigli le carte e le rimescoli può non essere qualcosa di irrealistico.

D’altra parte cosa dovrebbe fare? Rinunciare alla mole di consenso che ha? Affidarsi ad un delfino che per ora non emerge dalle acque? Fidarsi del cofondatore del Pdl? Svendere tutto il suo patrimonio alla Lega?

Tutte queste sono ipotesi che non stanno né in cielo, né in terra. Abbiamo come l’impressione di una specie di strada obbligata. Naturalmente qui entra in gioco la creatività di Berlusconi, la sua capacità di sentire dove va il popolo e la sua conseguente capacità di inventare qualcosa che al popolo vada bene. Staremo a vedere.