Dopo la mancata presentazione delle liste del Pdl per la provincia di Roma, è il caso di Formigoni a mettere di nuovo in subbuglio tutto il centrodestra. La Corte d’Appello di Milano ha ritenuto fondate le «doglianze» espresse nel ricorso dei Radicali contro la lista di Formigoni: 514 firme su 3935 sarebbero «non conformi» e quindi metterebbero fuori gioco la lista del candidato presidente e le liste collegate. Il motivo? La «mancanza di timbri sui moduli», la mancanza della data e del luogo dell’autenticazione. La replica: «Ribadisco – ha affermato Formigoni – che non ci sono problemi perché tutte le liste che abbiamo presentato sono valide».
Non solo. Oggi alle 14 scade il termine per il ricorso, ma Formigoni conta su un esito certo. E lo ha detto anche ieri sera, parlando al Palalido di Milano: «negli ultimi anni – ha detto Formigoni – ci sono state tante sentenze che hanno modificato la prima legge (sulle elezioni). Ma le sentenze del Consiglio di Stato valgono più di una legge. E le nostre firme sono state raccolte secondo le modalità previste da queste sentenze. A sostegno della regolarità di ciò che abbiamo fatto – ha continuato il presidente – porteremo una serie di sentenze del Tar. Per cui non ho dubbi sul fatto che le firme saranno convalidate. E noi correremo per queste elezioni. Alla faccia di chi ci vuole male».
Quest’ultima «guerra delle firme», di cui il precedente di Roma dell’altro ieri sembrava solo un episodio isolato, è una cosa molto seria e non va presa sottogamba. A dirlo è l’ex presidente della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli.
«La reattività dei Radicali – afferma Mirabelli – è probabilmente determinata dalla mancata ammissione della lista Bonino-Pannella (non è stata ammessa alle prossime elezioni regionali della Lombardia dalla Corte d’appello di Milano, ndr), che sono andati a spulciare la correttezza della raccolta di firme altrui per rilevare eventuali irregolarità. Ma questa è una considerazione probabilistica che non ci interessa».
Qual è invece il punto, professore?
La presentazione delle liste richiede una serie di adempimenti che vanno effettuati correttamente. Se i partiti conoscono questi adempimenti – e li conoscono – mi domando perché non li osservino alla lettera, mettendosi al riparo da eventuali ricorsi. Sembra invece dominare il pressapochismo. Perfino la raccolta delle firme e la corretta presentazione delle liste richiede una professionalità, che in qualche modo sembra mancare.
«Abbiamo già verificato – ha detto l’europarlamentare Mario Mauro – che più sentenze del Consiglio di Stato rendono irrilevanti e non più necessarie alcune specifiche che invece la Corte d’appello di Milano ha ritenuto indispensabili».
Clicca >> qui sotto per continuare a leggere l’intervista a Cesare Mirabelli
È probabile che la decisione della Corte d’Appello sia inesatta o troppo rigorosa. Naturalmente non posso dire nulla del caso singolo, ma se è un errore di valutazione che determina l’esclusione, esiste un sistema di reclami e di tutele: dal ricorso alle commissioni elettorali fino al giudizio del Tar. Non dimentichiamoci però che il compito del riesame è quello di applicare correttamente la legge, e non di risolvere tutto con una strizzatina d’occhio.
Da un lato si profila il ricorso al Tar, dall’altro si auspica da parte di alcuni esponenti del centrodestra una «soluzione politica». Lei come la vede?
La strada che porta al Tar è a regole esistenti e secondo diritto. Una soluzione politica potrebbe essere un intervento di tipo normativo. Una legge ad hoc per intenderci. Però la vedo difficile per due motivi. Il primo è che varare un provvedimento in materia elettorale in corso di procedure elettorali è sempre pericoloso: altera operazioni o regole del gioco a campagna elettorale iniziata.
E il secondo motivo?
La seconda ragione, anch’essa molto semplice, è che occorrerebbe una coesione di tutte le forze politiche. Altrimenti non ci sarebbe neanche la possibilità materiale di intervenire, no?
Secondo lei c’è stata una violazione delle regole?
Staremo a vedere. Certo è che gli organi preposti, giurisdizionali e di controllo, devono agire secondo diritto. Poniamo il caso che effettivamente ci siano stati degli adempimenti mancati o dei ritardi nella consegna del materiale. E che quindi alcune liste vengano escluse dalla gara elettorale. Il risultato, che dovrebbero avere tutti quanti ben presente, è che ci sarebbe una diminuzione dell’offerta.
In altre parole, meno democrazia.
Clicca >> qui sotto per continuare a leggere l’intervista a Cesare Mirabelli
Sì. Questo però – si badi bene – è un dato di fatto che non mette in discussione la regola, ma trae un elemento di forza da una situazione che si è determinata per una legittima valutazione di non ammissibilità della lista.
Sta dicendo, professore, che non si può soprassedere alle regole con l’intento di salvaguardare la «vera» sostanza della democrazia.
Non c’è una contrapposizione. Se le regole sono ragionevoli, vanno rispettate. Sono adeguate queste regole? Si può valutare, unitamente all’individuazione di metodi che siano più sostanziali e moderni. Per intenderci: in passato si è posto il problema della genuinità delle sottoscrizioni, che vengono certificate «a pacchi», per così dire. Ma se queste regole sono adeguate, che debbano essere rispettate è indiscutibile. Quale finalità devono avere? La correttezza e la tempestività delle operazioni. Ma è un elemento importante anche la scadenza del termine per la presentazione, perché da quel momento nascono gli adempimenti successivi.
Poniamo che le procedure siano state effettivamente non corrette e che sia giusta l’esclusione di una lista.
Quel che discende dall’esclusione di una grande lista è un impoverimento della democrazia, perché vuol dire che non partecipa alla competizione elettorale una formazione che aveva l’interesse non solo suo in quanto partito politico, ma anche suo e della frazione di corpo elettorale rappresentato, ad essere presente.
Denuncia una crisi della capacità di saper vedere l’interesse generale?
Direi così: che dovrebbe essere interesse di tutte i partiti che la competizione sia aperta a tutte le forze politiche. La politica significa vincere con il voto, e non per la mancata presentazione dell’avversario sul terreno di gioco. È bene che ogni competizione elettorale si apra sui temi sostanziali. Che sembrerebbero, sino ad ora, rimasti solo sullo sfondo.