La batosta è arrivata ieri, nel tardo pomeriggio: le Corti d’Appello hanno respinto i ricorsi, e le liste di Formigoni e della Polverini sono fuori dalla competizione elettorale. L’autenticazione delle firme – ha detto l’Ufficio centrale elettorale della Corte d’Appello di Milano, respingendo il ricorso di Formigoni – «deve essere compiuta con le modalità previste dalle normative specifiche». Con l’aggravante secondo i giudici che non sarebbe più, com’era fino a ieri, solo questione di timbri, ma anche di firme non valide, che quindi andrebbero a peggiorare la situazione del governatore. Soprattutto in vista di un ricorso al Tar.
È accanimento giudiziario? Di sicuro un po’ di zelo formale c’è stato, ma l’inettitudine politica dei presentatori ha dato una buona mano ai giudici. O, per dirla con le parole di Bossi: «Sono dilettanti allo sbaraglio».
Nel caos del dopo-decisioni si è fatto sentire il ministro Calderoli. «Serve subito una risposta politica ai furbi che cercano vittorie a tavolino» ha detto il ministro per la Semplificazione. E qui arrivano i problemi, che fanno apparire la strada tutta in salita. Perché sì, una soluzione politica è possibile: si chiama decreto legge. Un decreto legge in materia elettorale a gioco iniziato, cioè piena campagna elettorale, che riapra i termini per la raccolta delle firme, consentendo a tutti di mettersi in regola. Apparentemente non fa una piega, ma Antonio Baldassarre, ex presidente della Consulta, non è di questo avviso. «Richiederebbe un accordo di tutte le forze, maggioranza e opposizione – dice Baldassarre a ilsussidiario.net -, perché si tratta di cambiare delle regole in corsa». E se l’opposizione non fosse d’accordo? «Ci sarebbe soltanto un piccolo ostacolo – dice ironicamente Baldassarre -: la firma del Presidente della Repubblica. Non credo che Napolitano firmerebbe, in mancanza di un accordo tra le forze politiche, almeno le principali».
Sulla strada del Tar si concentra un altro costituzionalista, Valerio Onida. È sorpreso, molto sorpreso il professore, quando lo raggiungiamo al telefono. «Francamente, la storia delle firme mi sembra una cosa fuori dal mondo. Ho visto l’esposto dei Radicali e la prima deliberazione dell’Ufficio centrale regionale. L’idea che i timbri, o la mancanza di indicazione del luogo possano viziare l’ammissibilità di una lista, mi sembra molto fragile».
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Eppure, la legge prevede delle modalità ben precise per la raccolta e la presentazione delle firme, obiettiamo. Queste modalità, hanno detto ieri i giudici, «costituiscono il minimo essenziale per assicurare la certezza della provenienza della sottoscrizione dal soggetto che figura averla apposta». «Ma qui bisogna distinguere tra formalità essenziali e formalità irrilevanti -ribatte Onida -. Se devo presentare mille firme ma arrivo con 999, sbaglio, ma irregolarità su timbri e certificazione dei luoghi in cui l’autenticazione è avvenuta non dovrebbero portare ad escludere la lista, al massimo ad una sua regolarizzazione».
Chiediamo a Onida una valutazione più di fondo. È immaginabile una competizione elettorale monca, senza il partito di maggioranza relativa, solo perché hanno vinto i formalismi insomma?
«Astrattamente parlando l’elezione è sempre una competizione aperta – risponde l’ex presidente della Corte costituzionale -, quindi se una lista non c’è, gli elettori possono o astenersi o non andare a votare. Altrimenti vorrebbe dire che un partito, perché ha la maggioranza, ha diritto più degli altri di partecipare alle elezioni. Farei un altro ragionamento: siccome le regole – continua Onida – sono fatte per garantire la sostanza della democrazia, quindi non solo che il partito di maggioranza relativa ma che tutti i partiti possano partecipare ad una particolare competizione elettorale, fermarsi a formalismi come l’assenza o la differenza di un timbro, mi sembra francamente eccessivo».
L’alternativa alla soluzione politica tramite decreto, è dunque quella di percorrere fino in fondo la strada della soluzione giuridica, con il ricorso al Tar. E l’altro ieri, tra la prima e la seconda decisione dell’Ufficio di Corte d’Appello, Formigoni si è fatto forte di passate sentenze del Consiglio di Stato che su casi analoghi e controversi in materia elettorale gli darebbero ragione. Ma anche la via del Tar, per Onida, non è esente da incognite. «Sì, in altre ipotesi di questo genere si è fatto ricorso prima al Tar e poi al Consiglio di Stato. Il problema però è che c’è una tesi del Consiglio per cui non si possono fare ricorsi prima delle elezioni, ma solo dopo; con l’eventualità di annullare ex post la consultazione elettorale». Si spieghi, professore.
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«Se a posteriori risultasse che l’esclusione di una lista che doveva esser ammessa è stata illegittima, oppure che l’inclusione di una lista che doveva esser esclusa è stata anch’essa illegittima, si annullano le elezioni. Però questa tesi del Consiglio di Stato mi lascia un po’ perplesso. Non è un giudice che ha deciso nell’Ufficio centrale regionale di Corte d’Appello per la non ammissibilità di Formigoni o Polverini. Infatti questi uffici elettorali sono stati considerati dalla Corte costituzionale come organismi che fanno un’attività puramente amministrativa, e la stessa Corte ha escluso che possano sollevare questioni di costituzionalità. Per farla breve: se ha ragione il Consiglio di Stato, manca la possibilità di ricorrere ad un vero giudice prima delle elezioni».
Una soluzione alternativa però ci sarebbe: il rinvio. «Capisco invece – dice ancora Onida al sussidiario – che si possa arrivare a rinviare le elezioni per consentire, a seguito dei vari ricorsi, di chiarire la situazione. C’è un caso analogo. In occasione delle elezioni regionali del Trentino Alto Adige del 2008, è stata prima esclusa, poi ammessa dal Tar e poi esclusa nuovamente dal Consiglio di Stato la lista Udc. L’ufficio circoscrizionale ha dichiarato l’invalidità della lista Udc, per motivi molto simili a quelli che hanno penalizzato la lista di Formigoni. L’Udc ha fatto ricorso al Tar il 30 settembre, e il Tar prima in via cautelare e poi con sentenza di merito il 10 ottobre ha accolto il ricorso e riammesso la lista. Ma il 17 ottobre il Consiglio di Stato ha sospeso l’efficacia della sentenza del Tar, escludendo nuovamente la lista. Però nel frattempo sono state rinviate le elezioni, perché non c’era più il termine per gli adempimenti elettorali. Anche nel nostro caso un epilogo sensato potrebbe essere il rinvio».
Serve una tregua, diceva ieri a ilsussidiario.net Stefano Folli, negoziata possibilmente in Parlamento. Non solo. «Servirebbe anche – conclude Baldassarre – un esame di coscienza della maggioranza».