Le elezioni regionali, paradossalmente più che le politiche e le europee, riguardano questioni cruciali che toccano la concretezza della vita personale e sociale del nostro Paese. Sembrerebbe però che anche questa campagna elettorale finirà nel vortice delle contrapposizioni frontali di una politica ridotta a scontro di potere fra schieramenti. Dovremmo allora rassegnarci a vivere questo momento senza vedere messi in discussione contenuti tanto importanti?



Eppure, il recente trattato di Lisbona, che disegnerà nei prossimi decenni la vita della Comunità Europea, e il processo federalista avviato nel nostro Paese – per quanto confuso e incompiuto – stanno già attribuendo competenze maggiori alle Regioni, rendendo il loro operato sempre più cruciale per la vita quotidiana dei cittadini italiani.



La principale area di intervento e voce di spesa delle Regioni è la sanità. Questo dato statistico diventa drammaticamente importante quando si hanno problemi di salute, o ne vengono interessati i nostri cari: è ben diverso sapere che l’ospedale a cui ci si rivolge ha raggiunto una buona efficacia nella cura della patologia di cui si è affetti, lo fa senza spreco di denaro pubblico (a danno dell’erario e quindi di ogni contribuente) e, nello stesso tempo, senza lesinare le cure ai meno abbienti.

Tuttavia, non sono solo le patologie acute a caratterizzare il nostro bisogno di salute: l’aumento dell’aspettativa di vita fa sì che siano in aumento le patologie croniche non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale. La qualità della vita familiare è molto diversa se si è in Regioni capaci di dare risposte adeguate, attraverso strutture o attraverso assistenza domiciliare, nella cura di tali patologie o nell’affronto di problemi di disabilità.



E ancora, a proposito di un altro ambito di intervento proprio delle Regioni, c’è una bella differenza fra sistemi di formazione professionale che usano le risorse per mantenere dipendenti pubblici, senza essere capaci di dare una vera qualificazione professionale, e strutture, magari del privato sociale, in grado di recuperare, attraverso l’istruzione professionale, ragazzi espulsi dalla scuola o che stanno accumulando ripetuti insuccessi scolastici.

 

E che dire di quella libertà di educazione che solo alcune Regioni assicurano attraverso voucher e doti scolastiche? Tale possibilità non permette solo una maggiore libertà di scelta delle famiglie, ma anche, in una competizione virtuosa, un miglioramento della scuola statale a vantaggio di un’uguaglianza di opportunità che l’attuale assetto scolastico iperstatalista non riesce a garantire (se è vero che nei recenti test Invalsi sulle scuole elementari almeno il 40% degli studenti, soprattutto nelle aree più svantaggiate, non superano prove molto semplici di italiano e matematica).

 

E si potrebbe continuare parlando di investimenti in infrastrutture, visto che è ben diverso avere treni pendolari in orario e veder migliorare la qualità e la percorribilità di strade e autostrade; di incentivi alle imprese che creano occupazione; di interventi a favore della ricerca universitaria; di raggiungimento di scopi sociali attraverso una vasta sussidiarietà orizzontale che impedisce la divaricazione fra ricchi e poveri.

 

Basterebbero questi semplici accenni per capire quanto le politiche regionali siano importanti per la vita della gente e quindi quanto siano decisive le prossime elezioni, anche in considerazione del fatto che, come rileva il recente Rapporto “Sussidiarietà e… Pubblica Amministrazione Locale”, pochissime sono le Regioni promosse dai cittadini e molte sono quelle bocciate.

 

Nel frastuono degli urli vacui della politica nazionale, bisogna trovare la serietà di comparare programmi e risultati e valutare le persone in base al loro operato. Chi vuole fare di queste elezioni l’ennesimo test per uno scontro ideologico tra schieramenti, fa solo il male degli elettori e di tutto il Paese.

 

(Pubblicato su Il Corriere della Sera del 5 marzo 2010)