Come c’era da aspettarsi, sul decreto integrativo “salva liste” firmato venerdì scorso dal capo dello Stato è esplosa una rissa politica che solo l’attesa per la decisione che avrebbe assunto il capo dello stato aveva rinviato. Tutti i partiti di opposizione hanno annunciato manifestazioni. I viola protestano in piazza. Bersani ha parlato di «trucco» della maggioranza, mentre Di Pietro sferra un attacco frontale al capo dello Stato: il leder dell’Idv ha parlato di «sfregio alla legalità e alla democrazia» e di «correità» di Napolitano in un provvedimento che contravviene al dettato costituzionale. Non si è fatta attendere la risposta del Pdl. «La sinistra – ha replicato Berlusconi – che ormai si è ammanettata a Di Pietro, è il partito dell’odio e dell’invidia sociale, vuole fare dell’Italia uno Stato di polizia dominato dall’oppressione tributaria e dall’oppressione giudiziaria». Ieri pomeriggio, intanto, la giunta del Lazio ha deciso di fare ricorso alla Corte costituzionale. Sul controverso decreto ilsussidiario.net ha sentito l’opinione del costituzionalista Nicolò Zanon.



Professore, il decreto legge è incostituzionale?

L’unico aspetto problematico è la norma ritagliata sul caso concreto della lista Pdl non presentata per la provincia di Roma. Il primo comma dell’articolo 1, in collegamento col quarto comma, quello in cui si dice che coloro (i delegati incaricati della presentazione delle liste) che «abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale» hanno tempo dalle 8 alle 20 del giorno successivo all’entrata in vigore del decreto per presentare di nuovo la lista, ripercorre esattamente la vicenda concreta di quel che è successo il 28 febbraio scorso. E per questo può suscitare qualche perplessità.



Il presidente Napolitano ha scritto, rispondendo ai cittadini, che la sua preoccupazione è stata quella di «garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici».

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Napolitano ha fatto benissimo. È una comunicazione istituzionale in più che spiega in modo discorsivo quello che si trova nelle premesse del decreto legge. Quella lettera dimostra anzi che le premesse del decreto sono frutto della volontà del capo dello Stato, che ha messo sul piatto della bilancia tutti i valori costituzionali che lo hanno indotto a questa scelta, e quindi la tutela dell’elettorato attivo e passivo, gli articoli 1 e 48 della Costituzione, quindi la sovranità popolare e il diritto di voto. Era necessario e urgente provvedere per assicurare una competizione elettorale la più completa e la più genuina possibile.



 

Cosa pensa del terzo comma, quello relativo all’ammissione di candidati e liste da parte dell’Ufficio centrale regionale di Corte d’Appello? È il caso dei ricorsi che avevano portato all’esclusione dei due listini, di Polverini e Formigoni.

 

Conferma che sono ammissibili i ricorsi contro le esclusioni da parte degli esclusi, ma non dice assolutamente che sono possibili esposti di terzi contro le ammissioni; cioè quello che è accaduto di fronte alle Corti d’Appello. I Radicali hanno fatto un esposto non per chiedere la propria riammissione, ma per verificare la legittimità anche delle ammissioni altrui, e questo non era già previsto dalla legge. Bene ha fatto il decreto a chiarire questo aspetto, anche se era già desumibile dalla normativa in vigore.

 

Il decreto renderà ancor più incandescente il clima politico?

 

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Come tutti i decreti dovrà ora essere convertito in legge entro sessanta giorni dal Parlamento. Immagino che sarà convertito con i soli voti della maggioranza e che probabilmente si porterà dietro un carico di polemiche e di tensioni ulteriori.

 

Che bilancio si sente di fare, allo stato attuale, di tutta questo vicenda?

 

Di giuridico ci sono dei profili interessanti ma molto limitati, il problema più grosso rimane quello politico-istituzionale: da un lato c’è una classe politica pasticciona, dall’altro siamo in presenza di tensioni fortissime, normalmente latenti ma pronte a riemergere, che percorrono tutto il panorama non solo politico ma anche istituzionale, come si è visto venerdì nel contrasto tra presidente del Consiglio e capo dello Stato. È chiaro che viviamo in una stagione molto complicata, dalla quale non si vede per il momento una via d’uscita.

 

Cosa la preoccupa di più?

 

Secondo me c’è il rischio che passi l’idea che la politica per non soggiacere a certe regole se le cambia. Non a caso in questi giorni si contrapponeva ai politici la gente comune, che per fare un qualsiasi certificato deve fare tutto esattamente quanto prescritto, altrimenti non c’è nulla da fare.

 

Questo sembra in effetti è un argomento molto forte …

 

Sì, è molto forte, e capisco che l’opposizione lo utilizzi perché l’occasione è troppo ghiotta. Rimane però il fatto che le operazioni elettorali – e per avere conferma basta parlare con chi se ne occupa da anni – sono sempre state un ambito pieno di decisioni contrastanti e contradditorie, anche a seconda del posto in cui si fanno le verifiche. Quindi un intervento chiarificatore, per la parte relativa alle firme e alle autentiche, è un aspetto positivo e andava fatto.