Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il giorno dopo aver firmato il decreto interpretativo proposto dal governo per risolvere il cosiddetto “caos liste”, ha voluto rispondere dal sito del Quirinale alle preoccupazioni di due lettere di segno opposto che gli sono arrivate in questi giorni. «Non era sostenibile – scriveva sabato il Capo dello Stato – che potessero non partecipare (alle elezioni ndr) nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall’ufficio competente. […] I tempi si erano a tal punto ristretti che il provvedimento non poteva che essere un decreto legge».



Durissima la reazione di Antonio Di Pietro che durante la giornata aveva proposto di valutare se ci fossero gli estremi per promuovere l’impeachment contro Napolitano, a suo parere, non più giudice super partes. «Di Pietro a volte parla a vanvera» aveva immediatamente commentato Luciano Violante, che in un’intervista a IlSussidiario.net ha poi aggiunto: «Il Presidente della Repubblica non si approva, né disapprova, si rispetta e basta. La via scelta dal governo è, a mio avviso sbagliata, ma non parteciperei mai a una manifestazione contro il Capo dello Stato».



Di Pietro ha definito ipocrite le critiche ricevute e le manifestazioni di sostegno a Napolitano. Cosa ne pensa?

Non bisogna dimenticare che il Presidente della Repubblica non è né il giudice delle leggi né una figura chiamata a valutare l’opportunità della presentazione dei disegni di legge. Ha agito nel pieno dei suoi poteri. Per questo motivo le dichiarazioni dell’on. Di Pietro sono fuori da ogni ragionevolezza.

Qual è il suo giudizio invece sul decreto interpretativo che il governo ha proposto?

Innanzitutto vorrei far notare che il problema è stato creato dal centrodestra. Hanno fatto degli errori e hanno provato a risolverli facendo tutto da soli. A mio parere è discutibile che la stessa forza politica con una mano chiami l’intervento dell’autorità giudiziaria attraverso i ricorsi e, con l’altra, cambi la legge. In questo modo si genera malessere nel Paese e si dà l’immagine di un potere politico che tutela gli interessi privati.

La maggioranza avrebbe dovuto aspettare le decisioni del Tar?



Certamente, anche perché, tra l’altro, la vicenda si stava risolvendo a suo favore. I candidati avevano fatto bene a rivolgersi ai giudici, bisognava solamente aspettare e rispettare le loro decisioni.

L’eccezionalità della situazione avrebbe in qualunque caso richiesto una “soluzione politica”, come avevano auspicato anche alcuni autorevoli esponenti del centrosinistra?

Nel caso in cui l’autorità giudiziaria, in piena autonomia, non avesse risolto il problema la parte responsabile del centrodestra avrebbe dovuto cercare un’intesa con il centrosinistra.
Il segretario del Pd, Bersani, aveva sottolineato fin da subito l’anomalia di un’elezione in cui non fosse presente il maggior partito nazionale, la coalizione che sostiene il governo e candidati presidenti così importanti. Al momento delle elezioni, però, sulla riga di partenza, piccoli o grandi, siamo tutti uguali e questo tipo di provvedimento non sembra rispettare questo principio.

Se, seguendo il suo ragionamento, dopo l’esito negativo del Tar, la maggioranza vi avesse chiesto di condividere la soluzione del problema cosa avreste proposto?

Difficile dirlo. Ci sono troppi “se”. Ripeto, occorreva una soluzione più responsabile e oculata. Sono convinto anch’io che quando ad essere escluso dalle elezioni è uno dei partiti più importanti il danno alla rappresentatività è più grave, ma ora rischiamo di ritrovarci in un groviglio giudiziario inestricabile. Tra conflitti di attribuzione, eccezioni di incostituzionalità e l’andamento dell’iter parlamentare può succedere di tutto. Non ce la caveremo di certo in poco tempo.

A venti giorni dal voto la campagna elettorale rischia di esaurirsi in questa polemica e di mettere in secondo piano i programmi e le differenze tra candidati e schieramenti?

La campagna elettorale va avanti. Questo non sarà l’unico tema, ma diventa a pieno titolo uno dei temi da discutere. Chi ha dato prova della propria difficoltà nel rispettare le regole ne risponderà, il tempo per parlare dei problemi degli italiani rimane.

Queste tensioni mettono a rischio le riforme condivise che dopo le regionali dovrebbero vedere collaborare maggioranza e opposizione?

 

Di sicuro quello che è successo non aiuta e rivela ancora di più che il Paese ha bisogno di una seria riforma delle regole Costituzionali.

Massimo Cacciari, in un’intervista al nostro giornale, sottolineava come la raccolta delle firme si sia ormai ridotta a un’incombenza burocratica e proponeva di abolirla per i partiti radicati nel Paese, riservandola soltanto alle nuove formazioni politiche?

Non sono d’accordo, non è una procedura burocratica, ma un momento di partecipazione attiva, se un partito vive tra la gente.
Non ha senso generalizzare e sminuire l’impegno dei cittadini che si sono impegnati e sacrificati per raccogliere le firme sufficienti. Non dimentichiamoci, tra l’altro, che alcune liste per questi motivi non sono state ammesse. Il diritto è diritto, la garanzia è garanzia e in democrazia questo non dipende dal peso che uno ha.

L’opposizione manifesterà unitariamente contro questo provvedimento o il Pd si distinguerà da Di Pietro e De Magistris che in questi giorni hanno parlato di “golpe”, “tirannia” e “impeachment”?

Vedremo. Si manifesta con i cittadini, le manifestazioni sono libere e aperte. Di certo non parteciperei mai a una manifestazione contro il Capo dello Stato. Bisogna saper rimanere all’interno del sistema democratico.